Certo molte me ne sono capitate nei miei innumerevoli viaggi. E anche prolungate soste, controlli, specialmente nei Paesi del Terzo Mondo ai confini fra lo Yemen e le aree controllate dai beduini; o tra Etiopia e Eritrea. Rallentamenti, disagi, incomprensioni. Ma non mi era mai accaduto di dovere sperimentare l’assurdo dei controlli aeroportuali come al rientro in Italia da Tel Aviv. Mi avevano annunciato dell’opportunità di presentarmi ai controlli tre ore prima e avevo subito manifestato irritazione. Controllare che? Si controllano i presunti nemici e i malintenzionati, non gli amici invitati. E infatti qualche mese fa come sindaco di Salemi ero stato invitato al primo festival delle arti e delle tradizioni di Gerusalemme, organizzato dall’Ufficio per la cooperazione allo sviluppo che, in quei luoghi difficili, sotto il controllo militare e politico degli israeliani invia straordinarie quantità di aiuti economici anche per compensare il minore impegno dello Stato di Israele nelle aree abitate dai palestinesi. Mitigando quindi i serpeggianti conflitti.
Missione culturale e di pace con una delegazione composta da due artigiane chiamate per fare il pane, uno storico e architetto, custode delle tradizioni Peppe Greco, il capo ufficio stampa Nino Ippolito e una giovane volontaria dell’assessorato alla creatività Daria Di Mauro. Ho esposto le buone ragioni della presenza di Salemi a Gerusalemme sia rispetto allo spirito della città, del dialogo e della tolleranza delle religioni rispecchiate nella stessa struttura urbanistica con i quartieri ebraico, musulmano il «Rabato» e cristiano, senza prevalenze e ghetti. Ho indicato la consonanza tra i nomi delle due città affini, l’uno contenuto nell’altro: Jeru-Salem. Sono stato al Muro del Pianto e ho visto nel segno della pace (Salem) ebrei, cristiani e musulmani. Alla partenza mi sono reso conto che le parole, gli inviti e i buoni propositi non contano niente. Improvvisamente, benché invitati e accompagnati da un rappresentante dell’Alitalia e dell’Ufficio per la cooperazione, siamo stati guardati con sospetto e trattati come possibili nemici. Certo capisco la situazione di emergenza e i possibili rischi. Ma non capisco come si possa, se non per arroganza e prepotenza sequestrare a un responsabile di un ufficio stampa italiano la stampante del computer con cui è entrato in Israele per fare il suo lavoro. In che cosa una stampante è pericolosa? Così Ippolito è ripartito lasciando una parte dei suoi strumenti di lavoro a Tel Aviv. Gli verranno, forse, rimandati. Violazione, per me intollerabile. Per quello che mi riguarda ho denunciato di avere, come avevo, una valigia di soli libri. Io parto senza bagagli dovunque debba andare e acquisto camicie e mutande nei Paesi in cui sono ospite. La mia valigia pesante conteneva libri d’arte, documentazione sui luoghi santi, cataloghi di mosaici e di restauri come quelli compiuti, con soldi italiani, a Sebaste dove è la tomba di San Giovanni Battista. La valigia è stata aperta e i libri controllati uno a uno, pagina per pagina con un macchinoso e inutile sensore, per trovare fra le carte chissà quali minacciosi documenti. Le artigiane che avevano fatto il pane sono state perquisite per verificare cosa portassero con sé per la loro minacciosa pratica di fornaie. La giovane Daria è stata completamente spogliata, interrogata come ognuno di noi sulle ragioni della presenza in Israele, e guardata con sospetto perché il passaporto era stato rilasciato il giorno stesso del viaggio. Essendo una ragazza giovane, avevo io stesso chiesto al questore di Catania di rilasciarle il passaporto dal momento che non poteva partire con la carta di identità. Perquisita, spogliata e guardata con grande diffidenza perché fra i doni avuti a Betlemme aveva in borsa anche un gagliardetto palestinese. Finita questa prima fase tra interrogatori e sequestri abbiamo proceduto per almeno altri cinque controlli in barriere successive, dove venivano chiesti ossessivamente i documenti e ricontrollati attraverso il metal detector i bagagli. Non ho capito il senso, se non provocatorio, di questi controlli a una delegazione italiana invitata e annunciata, non si capisce in che cosa minacciosa. Ma ciò che era stupefacente era la quantità di addetti a controlli inutili indisponibili ad accettare spiegazioni, e il miserabile spettacolo di valigie aperte con indumenti sporchi e libri controllati con inutile minuzia. Migliaia di persone, in lunghe file, uomini e donne rassegnati e umiliati in questo rito automatico ormai consueto in ogni aeroporto ma parossistico a Tel Aviv dove ognuno sembra avere accettato regole insensate che ignorano la dignità delle persone e presuppongono che ognuno sia pericoloso o nemico.
La malinconia prevale sulla rabbia e il primo pensiero è di non ritornare a Gerusalemme, non ritornare in Israele e andare in luoghi dove chi è invitato e chi è amico è rispettato.
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