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«Io urlavo, loro picchiavano». E ora la polizia chiede scusa

RomaDopo la prima notte fuori dal carcere trascorsa senza chiudere occhio per i troppi pensieri e dolori, Stefano Gugliotta si presenta davanti ai giornalisti per spiegare cosa è successo la sera del 5 maggio al termine della finale di Coppa Italia Inter-Roma quando è stato pestato senza motivo da alcuni poliziotti.
«Io urlavo le mie ragioni mentre loro mi colpivano ripetutamente, saranno stati sette o otto. Sono pieno di lividi», racconta il venticinquenne scarcerato mercoledì dopo aver trascorso sette giorni a Regina Coeli, salvato da un «angelo», Alfredo, l’abitante del quartiere a ridosso dello stadio Olimpico che ha girato un video con il telefonino in cui si vede chiaramente un agente sferrare un pugno in faccia al ragazzo. Senza quel filmato, è chiaro, i tempi della scarcerazione sarebbero stato più lunghi. Ora il poliziotto è indagato, mentre sono al vaglio della Procura le posizioni di altri tre colleghi. Gugliotta, ancora accusato di resistenza a pubblico ufficiale, è fuori perché i magistrati hanno stabilito che la sua è stata una «reazione legittima ad un atto arbitrario». Scambiato per un ultrà mentre lui, che è laziale, quella sera allo stadio non c’era neppure andato. «Ho cenato a casa - è la sua versione - poi sono uscito in motorino per andare a festeggiare mio cugino. Ero su viale Pinturicchio e mi hanno intimato l’alt. Mi hanno chiesto: “Che stai a fà?”. Io non ho fatto in tempo a rispondere e sono stato subito colpito. Non ho reagito, ho solo cercato di tenere le distanze. Dopo non ho ricordi chiari perché sono stato incosciente. Non mi sono dimenato, ho solo detto che non c’entravo nulla, barcollavo, non ho cercato neanche di scappare dalla camionetta. Ho tentato la fuga solo prima, quando stavo sul motorino, poi mi hanno portato in commissariato». Quando un cronista gli chiede se è vero che in carcere volevano fargli firmare un foglio con il quale rifiutava le cure, l’avvocato Cesare Piranio interviene e risponde al posto suo: «È un fatto di una certa gravità e non ne parliamo qui».
Il perché tutto ciò sia accaduto Gugliotta proprio non riesce a spiegarselo, crede sia stato solo un caso. «Dal video si vede tutto - dice - avevo una macchina davanti e una di dietro, io avrei voluto solo spiegare le mie ragioni. Forse perché non portavo il casco... Con la partita non c’entro nulla. Gli ho chiesto spiegazioni sul loro comportamento ma nessuno mi ascoltava. La botta più forte l’ho ricevuta prima di entrare nella camionetta: un colpo alla testa con un manganello». Le botte, le ferite, poi la paura del carcere: «È stato tremendo - racconta - lì dentro non sei nessuno. Non ho contato nulla per due giorni, è come se fosse stato cancellato, ero un numero zero». Ringrazia tutti, Gugliotta, e coglie l’occasione per «chiedere di abbassare i toni». «Penso che la maggior parte degli uomini delle forze dell’ordine sia in buona fede, sono pochi i casi di abuso di potere e violenza gratuita», sottolinea il giovane. Le scuse ufficiali della polizia sono già arrivate a sua madre nei giorni scorsi da un alto funzionario, anche a nome del questore.
Prende posizione sul caso anche la camera penale di Roma, chiedendo «come mai Gugliotta è stato sette giorni in carcere». Della vicenda si è parlato ieri alla Camera.

Rispondendo a un’interrogazione del Pdl, il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati ha assicurato che «gli eventuali responsabili verranno perseguiti senza riserve».

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