Cronache

La finta pulizia dello Ior: nessuno tocca i trenta conti "sporchi"

Segreti, fondi neri, paradisi fiscali. Con papa Bergoglio gli scandali non sono finiti. E vi spieghiamo perché la rivoluzione non c'è stata

La finta pulizia dello Ior: nessuno tocca i trenta conti "sporchi"

Ior sinonimo di intrighi e giochi di potere, partite tra cardinali e affari segreti. Da Marcinkus, il banchiere di Dio, fino ai giorni nostri, la cosiddetta Banca vaticana è stata travolta da numerosi scandali, finanziari e no. Tra questi, solo per citarne alcuni, il crac del Banco Ambrosiano, l'inchiesta della procura di Roma e la condanna di monsignore Nunzio Scarano per riciclaggio. Insomma, un covo di segreti, denaro nero, paradisi fiscali. Con Papa Francesco le cose sono cambiate? La tanto sospirata operazione di pulizia e trasparenza è arrivata? La verifica dei conti? L'allineamento alle norme internazionali e alle procedure previste da Moneyval, il Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro del Consiglio d'Europa, è avvenuto?

GLI ERRORI DI FRANCESCO

Appena eletto il nuovo Papa, in molti si attendevano una rivoluzione e una chiarezza sulle finanze vaticane, a partire dallo Ior. Ma la sospirata rivoluzione, con Bergoglio, non è arrivata. La vera svolta impressa all'Istituto per le opere di religione è arrivata in realtà da Benedetto XVI, negli ultimi anni del suo pontificato. E c'è chi sostiene, non a torto, che le dimissioni del Papa emerito siano state decise anche perché tante cose, troppe forse, non erano poi così chiare e limpide all'interno dell'istituto che ha sede nel torrione Niccolò V.

Papa Francesco invece, non è riuscito ancora a ripulire totalmente l'organismo. Anzi. Le cose rimangono turbolente e poco chiare. Appena insediato, il nuovo pontefice ha preso in mano il dossier relativo alle finanze vaticane, affidandolo al cardinale australiano George Pell.

Una mossa che da lì a poco si rivelerà sbagliata. Pell vuole accentrare su di sé il controllo delle intere finanze vaticane. Vuole assecondare la cosiddetta lobby maltese, cioè i Cavalieri di Malta, detentori di casse ricchissime grazie al business delle assicurazioni, ma anche la lobby dei Cavalieri di Colombo, potentissima entità, rappresentata dall'americano Anderson. Altra mossa, ritenuta da più osservatori sbagliata, è stata quella di nominare l'avvocato René Brülhart nuovo presidente dell'Aif, (Autorità di informazione finanziaria), organo competente nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. L'avvocato svizzero proveniva dall'autorità antiriciclaggio del Liechtestein, noto paradiso fiscale, e quando era direttore dell'Aif fu accusato dal consiglio direttivo di avere fatto venire meno «le condizioni per poter svolgere le funzioni e i compiti assegnati dalla legge e dallo statuto».

Ma nonostante questo, il Papa lo promuove a presidente dello stesso organismo. Direttore diventa Tommaso Di Ruzza, genero dell'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Le nomine si rivelano presto sbagliate. Sui due, infatti, si sollevano forti critiche rispetto allo stipendio non proprio in linea con lo stile sobrio indicato da Francesco. Lo svizzero, infatti, guadagna 30mila euro al mese più altri 5mila euro a titolo di rimborso spese, ovvero circa 420mila euro l'anno. Lo stipendio mensile di Di Ruzza, si aggirerebbe, invece, intorno ai 20mila euro al mese.

LUSSO E PEDOFILIA

Bergoglio si rende conto di aver sbagliato ad affidare l'intero dossier delle finanze vaticane al cardinale Pell e nell'arco di un anno ridimensiona fortemente il potere del porporato. Lo scorso luglio, il Papa promulga un motu proprio con cui chiude una controversia tutta interna alla curia romana su chi avesse il compito di amministrare i beni mobili e immobili della Santa Sede e chi dovesse controllare la gestione. Il pontefice stabilisce una netta separazione dei compiti: la segreteria per l'Economia, e quindi Pell, vigilerà, ma non gestirà i beni del Vaticano e della Santa Sede, a cominciare dagli immobili dell'Apsa e di Propaganda Fide e il Fondo pensioni di competenza della Segreteria di Stato. Un forte stop ai poteri inizialmente affidati a Pell.

Tante le ragioni del depotenziamento: Francesco si accorge di aver sbagliato a nominarlo a capo delle finanze vaticane: su di lui pende un processo con l'accusa di pedofilia legata a vicende degli anni Settanta in Australia; il volume Avarizia di Fittipaldi (processo Vatileaks2) smaschera le spese abnormi del porporato che viaggia in business e ha speso (rivela il libro) 47mila euro per mobili e armadi e un sottolavello da 4.600 euro. Troppe cose che a Papa Francesco non piacciono affatto.

LA (POCA) PULIZIA DEI CONTI

Uno dei punti più critici legati allo Ior è il controllo dei conti. Dal 2012 a oggi l'istituto ne ha chiusi 4.935. Al momento, quelli aperti sono 14.801. La politica di bonifica è iniziata con Benedetto XVI ed è poi continuata con Francesco: niente conti anonimi, no a quelli intestati a nomi fittizi, stop a trattamenti preferenziali riservati a nipoti e parenti di cardinali, registrazione delle operazioni, procedure rigide per le operazioni sospette, e disposizioni più strette per l'uso del contante.

«Ma i conti che contano sono una trentina - rivelano fonti vaticane al Giornale - e finché non verranno toccati quelli, la pulizia non ci sarà». Si parla anche di denaro nero, paradisi fiscali e di conti legati ai servizi segreti americani. Chissà che Francesco non riesca a risistemare un dossier complicato come quello della pulizia dei clienti.

LA VERA SVOLTA FU DI RATZINGER

In molti attribuiscono l'avvio dell'operazione pulizia e trasparenza allo Ior a Papa Francesco. In realtà, la vera svolta fu di Joseph Ratzinger, grazie al Motu proprio firmato il 30 dicembre 2010. È l'introduzione di una legge cardine, quella sulla «Prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo». Con questa disposizione, il Papa emerito costituiva l'Autorità di informazione finanziaria (Aif), disponeva che si desse avvio all'identificazione e registrazione della clientela dello Ior e che venissero segnalate le operazioni sospette. Il lavoro inizia nell'aprile del 2011, ma per la Segreteria di Stato, guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, va troppo spedito: si rischia di perdere il controllo della situazione. Le sacre stanze tremano, Bertone frena, l'Aif non può operare come vorrebbe. Lo scontro tra i vertici dello Ior e il cardinale culmina nel maggio 2012 con la cacciata del presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Da quel momento l'Aif cessa di essere un corpo indipendente e finisce sotto la supervisione della Segreteria di Stato, perdendo la sua caratteristica essenziale, l'autonomia, per cui era stato creato. Benedetto XVI annuncia le dimissioni l'11 febbraio 2013; quattro giorni più tardi la Commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior nomina il banchiere tedesco Ernst von Freyberg. Pochi mesi dopo entra in carica il nuovo Papa, che affida la gestione delle finanze al cardinale Pell. Prima della scadenza naturale del suo mandato, von Freyberg viene messo alla porta. Al suo posto viene nominato il francese Jean-Baptiste de Franssu, vicino ai Cavalieri di Malta. È la prima vittoria del porporato australiano. Che dopo poco inizierà però la sua discesa.

Sono tante le domande ancora senza risposta: perché Gotti Tedeschi viene cacciato da Bertone? Forse perché aveva più volte stoppato il porporato nelle sue idee di investire sul San Raffaele o perché Bertone voleva l'ok dallo Ior su altre strane operazioni bancarie? Ed ancora: perché von Freyberg viene messo alla porta prima dello scadere del suo mandato? Ma soprattutto, perché l'Aif - creato per supervisionare le operazioni dello Ior e fare pulizia sui conti - viene messo sotto la campana della Segreteria di Stato?

I PUNTI OSCURI

Gli ispettori di Moneyval arrivano per la prima volta in Vaticano nel novembre 2011 e sottolineano «i passi notevoli raggiunti in poco tempo», grazie al lavoro svolto dall'Aif. Con la frenata impartita da Bertone, gli esperti del Consiglio d'Europa parlano di «passi indietro». Ma lo fanno in modo molto diplomatico, cercando di proseguire nel rapporto di collaborazione con i funzionari della banca vaticana. Il primo atto ufficiale di Moneyval è il Rapporto di valutazione del 4 luglio 2012 su quaranta raccomandazioni antiriciclaggio e nove antiterrorismo del Gruppo di azione finanziaria internazionale (Gafi). È un rapporto in chiaroscuro. Perché delle sedici raccomandazioni chiave, nove sono positive e sette negative. Tra i punti critici vengono segnalati quelli legati alla cooperazione internazionale e a un sistema di comunicazione non adeguato; quello relativo alla identificazione della clientela e alla lacuna di procedure adeguate per le segnalazioni di operazioni sospette; quello sulla mancanza di regole adeguate al sequestro e alla confisca di beni sospetti e la mancanza di procedure adeguate sui bonifici transfrontalieri, ovvero i passaggi di fondi tra lo Ior e le altre banche. Si tratta di settori importantissimi nella lotta al riciclaggio e al finanziamento al terrorismo, ancora inesplorati e completamente da ripulire.

È ancora tanto, dunque, il cammino che deve compiere la Banca vaticana per l'allineamento agli standard internazionali. Resta da vedere se gli ispettori di Moneyval, quando nel 2018 saranno chiamati a valutare nei fatti la concreta efficacia dell'impianto normativo vaticano, si accontenteranno di operazioni di pura facciata.

Quelle messe in pratica dalla attuale gestione (presidente Aif Brulhart, e presidente Ior De Franssu).

Commenti