Irak, gli insorti ora aprono agli Usa

Per la prima volta uno dei gruppi terroristici più potenti si dice disponibile al ritiro, ma pone condizioni impossibili

Per la prima volta gli insorti sunniti dell’Irak vengono allo scoperto ammettendo che sono pronti a negoziare con gli americani una via d’uscita. Pongono condizioni impossibili, ma curiosamente hanno deciso di scegliere un quotidiano inglese, l’Indipendent, per compiere questa mossa a metà strada fra la propaganda e il tentativo di tastare il terreno. Non a caso la notizia è sparata in prima pagina a caratteri cubitali e l’articolo porta la firma di Robert Fisk, un giornalista esperto di Medio Oriente, notoriamente antiamericano e con ottimi agganci fra gli insorti iracheni. Abu Salih al Jeelani, il nome di battaglia dietro il quale si nasconde uno dei capi del Movimento di resistenza islamica in Irak, ha inviato al giornale britannico un dettagliato comunicato in cui spiega che «se gli americani volessero negoziare il loro ritiro (...) noi saremmo pronti a trattare a certe condizioni». Il Movimento di resistenza, anche noto come Brigate della rivoluzione del 1920, è uno dei gruppi nazionalisti-islamici più forti nella galassia degli insorti e del terrorismo iracheno. Il loro nome originario si ispira alla rivolta contro gli inglesi dello scorso secolo. Al Jeelani auspica un negoziato sotto il cappello delle Nazioni Unite, oppure della Lega araba o della Conferenza islamica «che dovrebbero garantire la sicurezza dei partecipanti». Gli insorti vogliono trattare direttamente con l’ambasciatore americano a Bagdad e il comandante delle truppe Usa in Irak.
Le condizioni poste da Al Jeelani sono in gran parte inaccettabili per la Casa Bianca, ma intanto viene lanciato l’amo. La prima richiesta è la liberazione di 5mila prigionieri come «prova di buona volontà». Subito dopo si pretende il riconoscimento «della legittimità della resistenza e del suo ruolo in quanto rappresentante della volontà popolare». Per gli insorti i negoziati devono essere pubblici e gli accordi raggiunti, compreso il ritiro, rispetteranno un calendario «garantito internazionalmente».
La cosiddetta «resistenza», che si siederà al tavolo del negoziato, dovrà essere rappresentata da «un comitato che comprenda gli emissari di tutte le brigate jihadiste». Il vero scoglio è la richiesta di «invalidare le precedenti elezioni e la Costituzione». La legge fondamentale è sempre stata vista come fumo negli occhi dai sunniti, che la considerano imposta da curdi e sciiti a danno dei loro interessi.
Molti dei membri delle Brigate del 1920 sono ex ufficiali del regime di Saddam e quindi non è un caso che chiedano anche il reintegro delle loro unità nelle nuove forze armate irachene. Le brigate, assieme al partito Baath in clandestinità e all’Esercito di Maometto, sono i gruppi più forti della cosiddetta «ala del rifiuto», che si è opposta all’ingresso in Parlamento dei partiti sunniti. Nonostante ultimamente i tagliagole di Al Qaida abbiano annunciato di aver stretto un accordo con le Brigate, questa formazione è sempre stata considerata non allineata con i gruppi estremi del terrore influenzati dall’estero.

Fin del 2005 ci sono stati contatti fra i «gruppi del rifiuto» e il presidente curdo dell’Irak, Jalal Talabani. I contatti segreti sono andati avanti per un certo periodo in Giordania, anche con emissari Usa, ma non è chiaro a che punto siano arrivati.

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