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Irak, Al Jaafari getta la spugna

Fausto Biloslavo

Fino al giorno prima ribadiva ai quattro venti «che le dimissioni sono fuori discussione», ma ieri il premier incaricato Ibrahim al Jaafari ha gettato la spugna. Con una lettera un po’ stizzita ha rimesso il mandato all’Alleanza irachena unita, la coalizione sciita maggioritaria in Parlamento, che lo aveva incaricato di formare il governo.
L’intransigenza di Al Jaafari e la montante opposizione di sunniti e curdi, che accusavano il premier incaricato di non aver saputo allontanare lo spettro della guerra civile, hanno tenuto il Paese in una pericolosa fase di stallo politico per quattro mesi. Il governo di unità nazionale auspicato dagli iracheni non ha mai visto la luce, ma ora la strada dovrebbe essere in discesa. «Mi avete scelto voi, e a voi restituisco tale scelta. Fate ciò che ritenete sia appropriato e mi troverete pronto a collaborare con la vostra decisione, per tutelare e rafforzare l’unità dell’Alleanza», ha detto Al Jaafari. Non a caso l’annuncio del passo indietro è avvenuto poche ore prima di una fatidica riunione del Parlamento, che avrebbe probabilmente sfiduciato Al Jaafari. Su richiesta dei partiti sciiti di maggioranza, l’assemblea è stata ancora una volta rinviata a domani, quando tutti si attendono uno sblocco dello stallo politico.
L’Alleanza irachena unita, il cartello di partiti sciiti che ha vinto le elezioni parlamentari del 15 dicembre scorso, si riunirà nelle prossime ore per accogliere la rinuncia di Al Jaafari e indicare un nuovo candidato premier.
Da giorni circolano i nomi dei possibili successori: Al Maliki, oppure Ali Al Adeeb, entrambi del partito Dawa, come prevedono gli accordi politici all’interno del blocco sciita. Il primo è un autorevole parlamentare sessantenne nato a Hilla. Gli sgherri di Saddam gli uccisero molti familiari e Al Maliki dovette rifugiarsi in Siria, cambiando le generalità, per scampare al regime. Un dato a suo favore è che non risulta legato all’Iran, come molti dei politici sciiti, ma viene considerato da sunniti e curdi troppo intransigente per un governo di unità nazionale.
La «seconda carta» degli sciiti, nel caso non passi Maliki, sarebbe Al Adeeb, nato a Karbala nel 1944. Per sfuggire alla repressione di Saddam ha vissuto in esilio in Iran, ma pure negli Emirati Arabi, in Siria e in Europa. Curdi e sunniti lo preferiscono per le sue doti di mediatore dimostrate durante i negoziati sulla Costituzione e sulla stessa formazione del governo di unità nazionale.
La soluzione della vicenda del primo ministro dovrebbe sbloccare, con effetto domino, le trattative per le altre cariche istituzionali: il capo dello Stato, con i suoi vice e il presidente del Parlamento con i rispettivi numeri due. Il capo dello Stato in carica, il curdo Jalal Talabani, candidato unico per il nuovo mandato, ha annunciato ieri: «Stiamo tutti facendo i massimi sforzi e siamo al punto di concludere l’intero pacchetto», riferendosi alle delicate nomine istituzionali. Secondo Talabani, le nomine verranno votate nella seduta del Parlamento di sabato, appena la seconda in quattro mesi.
Il vero problema del Paese e del futuro governo è la sicurezza. Il ministero degli Interni iracheno ha emesso ieri un comunicato in cui rivela che sono stati arrestati una cinquantina di «terroristi» a Bagdad e a Nassirya, il capoluogo della provincia di Dhi Qar dove è ancora dispiegato il contingente italiano. Gli arrestati fanno parte del movimento Al Auda («Il ritorno»), e punta a raccogliere l’eredità del vecchio partito Baath, al potere ai tempi di Saddam.

Secondo il comunicato del ministero, l’operazione è stata condotta dai reparti speciali iracheni e gli investigatori, «grazie a un nuovo sistema informatico» sarebbero in grado di monitorare «16mila ex baathisti che partecipano ad attività terroristiche su tutto il territorio nazionale».

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