Mamma Krause e suo figlio Sinan scomparvero dalla casa di Bagdad il 6 febbraio. Riapparvero terrorizzati e in lacrime in un video diffuso dai loro rapitori il mese successivo. Ora, dopo 155 giorni di prigionia, Hannelore Krause è libera, ma non certo felice. La tragedia di questa madre tedesca non si è conclusa. Sinan, 20 anni, non è con lei, non è stato liberato. Il giovane, nato dal matrimonio con un iracheno, nel video dello scorso marzo le piangeva accanto e implorava di dar ascolto alle richieste dei rapitori. La signora Krause, questo è chiaro, non è stata liberata né per pietà, né per compassione. È stata semplicemente rimessa in gioco per farle esibire il suo quotidiano dolore di madre, per rendere più crudele la pressione sul governo di Berlino, per esigere, sfruttandone dolore ed angoscia, l'impossibile ritiro delle truppe tedesche dall'Afghanistan preteso dai sequestratori.
La richiesta dunque è sempre la stessa. A ripeterla in un'intervista concessa alla televisione Al Arabiya poche ore dopo il rilascio è la stessa signora Krause. «Voglio confermalo a tutti i pacifici musulmani... i soldati tedeschi sono presenti in una terra non loro.... per questo chiedo al governo della Germania di ritirare quelle truppe dall'Afghanistan. Se non lo faranno mio figlio finirà sgozzato». Quell'ultima drammatica frase basta a far comprendere lo stato di coercizione psicologica in cui mamma Krause rilascia interviste e dichiarazioni. Basta a far comprendere l'imbarazzo del ministro degli Esteri tedesco Frank Walter Steinmeier ritrovatosi con quel ricatto vivente tra le mani.
«Continuiamo - ammette il ministro - a dover fare i conti con la tremenda incertezza sulla sorte di suo figlio ancora prigioniero». Pur ricordando la volontà del governo di far qualsiasi cosa in suo potere per ottenere il rilascio del figlio Sinan il ministro non abbandona la linea di inflessibile fermezza seguita dalla Germania durante questi 155 giorni. Il ritiro delle truppe impegnate nell'ambito della missione Isaf in Afghanistan resta fuori discussione. «La nostra posizione è fin troppo chiara», ripete Steinmeier ribadendo la linea del cancelliere Angela Merkel fermissima a suo tempo nel respingere il ricatto di «persone che sono soltanto terroristi».
La vicenda di mamma Krause e suo figlio Sinan continua comunque a restare avvolta nel mistero. Né la signora né le autorità tedesche hanno voluto raccontare i dettagli della liberazione avvenuta martedì pomeriggio. E anche i rapitori continuano a restare nell'ombra. Di loro si conosce soltanto l'appellativo di Kattaeb Siham al Haq (Falange delle frecce della giustizia), un nome senza riscontri nell'arcipelago dei gruppi insurrezionali e delle formazioni terroristiche irachene. Con quel gruppo con i servizi segreti tedeschi non sono, nonostante gli sforzi, mai riusciti ad entrare in contatto.
È invece arrivata a lieto fine la vicenda di Georges Isaak, suo figlio Stuart, Shaqat Youssif e Martin Yacoub, quattro cristiani caldei rapiti una settimana fa mentre cercavano di raggiungere il loro villaggio natale nel Kurdistan iracheno. I quattro sono stati rilasciati ieri grazie alla mediazione della Chiesa caldea e di un gruppo di sceicchi di Kirkuk.
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