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Irak, milizie cristiane per difendersi dalle persecuzioni

TERRORE Negli ultimi giorni gli assalti contro i non islamici si sono moltiplicati

Irak, milizie cristiane per difendersi dalle persecuzioni

Karamlis (Irak)Le croci e le cupole del santuario di Santa Barbara sono una silhouette sospesa sul controluce d’inferriate e kalashinikov. Qui sulla strada tre uomini armati bloccano il traffico, ispezionano le automobili, controllano documenti e passeggeri. Più in là un altro gruppetto è pronto a dar manforte. Lassù tra gli archi e le sacrestie del sacrario uno stuolo di parroci e prelati saluta il vescovo. Benvenuti a Karamlis, benvenuti negli orrori di Mosul e dei suoi dintorni. Qui per pregare il Cristo bisogna campare con la spada al fianco. O meglio il kalashnikov. Il primo a saperlo è il vescovo di Mosul monsignore Amel Nuna. Ci viene incontro con un sorriso. E tante scuse. «Mi dispiace per le armi alla porta, ma dovete capire». Per capirlo basta conoscere la storia di Paulos Farai Rakha, del suo predecessore ritrovato cadavere - due anni fa - dopo esser stato rapito da un gruppo fondamentalista. «Qui se porti questa al collo rischi di non tornare vivo - spiega il monsignore accarezzando la croce dorata - le persecuzioni di Mosul, non finiscono alla periferia della città, la situazione è difficile anche nei villaggi come Karamlis dove la nostra gente vive da millenni, ma dove nessuno più ci aiuta. Per questo i nostri fedeli devono difendersi da soli».
Per capire come funzioni l’autodifesa dei cristiani assediati basta oltrepassare il posto di blocco all’entrata del villaggio e raggiungere con monsignor Amel Nuna la grande chiesa di Sant’Adday circondata da un altro crocchio di mitra e divise. Il quartier generale dei miliziani di Karamlis è proprio di fronte. Il «colonnello» e il «capitano» attendono in piedi all’entrata, circondati da un gruppo di fedelissimi con un kalashnikov in una mano e una ricetrasmittente nell’altra. L’arcivescovo li saluta, loro l’abbracciano, lo trascinano dentro, lo costringono a prendere un tè nella loro «base». Una volta era solo un ufficio postale, oggi è il posto di comando da dove «colonnello» e «capitano» organizzano la difesa di 5.000 cristiani sotto scacco. Dietro quei gradi militari - ricordo di una passata carriera nei ranghi di Saddam - ci sono Shaker Banjamin e Latif Issa, due quarantottenni ex ufficiali ritrovatisi - dopo la caduta del dittatore - senza un lavoro e una paga. «Fino al 2003 noi e gli altri cristiani di questo villaggio eravamo gente felice e senza problemi - racconta il «colonnello» Shaker – poi all’improvviso è cambiato tutto, io e Latif ci siamo ritrovati in strada mentre il villaggio è diventato un obbiettivo e i musulmani, qui intorno, hanno incominciato a sperare di poter presto metter le mani sulle nostre case e sulle nostre terre. Così nel 2003 dopo le prime minacce io e Latif abbiamo messo su una guardia civica disarmata per controllare il centro abitato».
Due anni dopo quel primo embrione di milizia - figlia di due ufficiali disoccupati - non basta più. «Tutt’intorno Al Qaida e altri gruppi estremisti mettevano bombe e uccidevano i civili così noi di Karmalis abbiamo ottenuto dagli americani il permesso di organizzare una vera guardia civile con divise, armi, radio e posti di blocco... in seguito anche il governo e l’esercito iracheno hanno riconosciuto ufficialmente il nostro ruolo e ci hanno distribuito tessere e riconoscimenti». Oggi i 5.000 abitanti cristiani di Karmalis possono contare su una vera e propria milizia «crociata» forte di 243 uomini guidati da dieci ufficiali provenienti dai ranghi dell’ex esercito saddamista. La presenza di questa «guardia civile» come la chiamano nel villaggio ha già risparmiato qualche brutta sorpresa. «I miei uomini sono tutti volontari, lavorano nel tempo libero e si accontentano di un piccolo contributo tirato su grazie alle offerte in chiesa, ma hanno già fermato molti estremisti pronti ad attaccarci. Lavorano per difendere le proprie famiglie e quindi sono molto più efficienti di un vero esercito. A volte per eliminare la minaccia basta la loro presenza.

A Mosul uccidono i cristiani perché la polizia non muove un dito, qui non osano entrare perché sanno che non potrebbero mai farla franca».

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