È una guerra al vertice, un duello che rischia di costare la poltrona al presidente Mahmud Ahmadinejad. Stavolta a minacciarlo non sono gli studenti, non sono le piazze, non sono gli oppositori. Stavolta a tenerlo sotto scacco è la Suprema Guida Alì Khamenei, lo stesso mentore assoluto che lo promosse da oscuro sindaco di Teheran a capo del Paese. È una guerra spietata ed impari. Una guerra che il presidente non può vincere. Il pretesto o meglio il casus belli è il controllo del ministero dellintelligence, ovvero della poltrona cruciale per controllare le elezioni e i destini di tutti gli iraniani.
Il ministro della discordia si chiama Heidar Moslehi. A nominarlo ci pensa lo stesso Ahmadinejad nellagosto del 2009, pochi mesi dopo la sua contestata rielezione. Avendolo nominato sillude anche di poterlo sostituire. Ma non ha fatto i conti con Khamenei. La rimozione di Moshlei annunciata il 17 aprile scorso è seguita dallimmediata reazione della Suprema Guida, che reintegra il ministro senza pensarci due volte. La pesante discesa in campo e laltrettanto pesante umiliazione inflitta ad un presidente teoricamente responsabile dellesecutivo sono solo la punta delliceberg. Nel cuore sommerso delliceberg sinsinuano le diversità ideologiche che minano la compattezza del regime e le complesse manovre per il controllo del potere. Ahmadinejad, eletto per due volte grazie a complesse e sofisticate manovre elettorali gestite proprio dal ministero dellintelligence, sa di non aver futuro. Khamenei gli ha regalato la presidenza per due volte perché era sicuro di poterlo controllare, perché era sicuro che Ahmadinejad non gli avrebbe creato problemi. Ora, invece, il presidente pasdaran pensa di poter ballare da solo, sillude di poter sottrarre al proprio mentore il controllo di una parte dei Guardiani della Rivoluzione e del loro immenso apparato militare industriale.
Anche a livello ideologico i rapporti tra il grande vecchio e limpulsivo presidente non sono idilliaci. Mentre Khamenei è rigorosamente fedele alleredità più conservatrice del khomeinismo, Ahmadinejad è sempre più attratto dalle fole messianiche di quanti danno per imminente il ritorno del Dodicesimo Imam (lImam scomparso) seguito dal Giudizio Finale. Il duello per il controllo della poltrona dellintelligence è la sintesi di questa doppia contrapposizione. Per continuare a restare ai vertici anche dopo la scadenza del proprio mandato Ahmadinejad deve, nel 2013, riuscire a far eleggere un candidato sotto il proprio totale controllo. Quel potenziale candidato si chiama Esfandiar Rahim Mashaei. Oltre ad essere il capo di gabinetto del presidente, Mashaei è anche un uomo di famiglia in quanto sua figlia ha sposato il primogenito di Ahmadinejad. Per Khamenei quel successore perfetto è come il fumo negli occhi. Oltre ad averlo già privato due anni fa della carica di vice presidente frettolosamente conferitagli da Ahmadinejad, la suprema Guida considera Mashaei un pericoloso deviazionista religioso. Non a caso dopo aver reintegrato il ministro dellintelligence ha fatto arrestare due dozzine di collaboratori di Ahmadinejad con accuse che vanno dal vilipendio alla religione alla stregoneria.
Il principale imputato della sfortunata banda è Abbas Amirifar, un hojatoleslam responsabile della preghiera e delle attività culturali dellentourage presidenziale considerato il principale ispiratore di un film sul ritorno dellImam scomparso. Nel film «La ricomparsa è molto vicina», diffuso in milioni di copie in tutto lIran, il presidente Ahmadinejad e il detestato Mashaei vengono dipinti come apostoli dellImam scomparso, chiamati a salutarne lavvento. Ma quel film, lo sgambetto al ministro dellintelligence e il tentativo di trasformare il proprio capo di gabinetto in un erede alla presidenza rischiano di costare caro ad Ahmadinejad. I parlamentari conservatori legati a Khamenei già minacciano di raccogliere le firme per ottenere limpeachment dellormai detestato presidente.
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