Il boia si è svegliato all’alba. Ed ha lavorato di gran lena. Come mai nel recente passato. Alle 5 di ieri mattina il responsabile delle esecuzioni del carcere di Evin era già al suo posto nel cortile del sinistro penitenziario arroccato sopra la capitale. Tutti i suoi attendenti avevano già controllato e verificato gli arnesi di morte e aspettavano schierati davanti a forche e cappi. Non era una mattina come le altre. Era la mattina della morte a catena. La prima, dai sanguinosi giorni della rivoluzione islamica, in cui dietro le mura di questo carcere costruito dallo Scia, si mandavano a morte 29 persone in un colpo solo. Due minuti e sono arrivati i morituri.
Non sappiamo neppure i loro nomi. Nessuno si è preoccupato di divulgarli. A dar retta alle fonti ufficiali si erano macchiati dei peggiori crimini previsti dal codice penale iraniano. Erano tutti coinvolti nei traffici di narcotici contrabbandati dall’Afghanistan, molti erano stati condannati per assassinio e altri crimini correlati come il consumo di bevande alcoliche o gli attentati alla sicurezza. Il loro destino si è risolto in pochi minuti. Sono arrivati sospinti dai secondini, avanzando in fila indiana, con le mani legate dietro la schiena. Poi, come s’è visto nei filmati delle precedenti esecuzioni, sono stati bendati e allineati davanti alle forche. Alle cinque e dieci della mattina nessuno di loro respirava più. «Vogliamo che Teheran diventi il posto più temuto al mondo per trafficanti malfattori e violenti, i 29 giustiziati stamattina erano accusati di traffico di stupefacenti su larga scala, criminalità organizzata, omicidi e rapine a mano armata», ha spiegato il procuratore di Teheran Saeed Mortazavi annunciando l’esecuzione di massa attraverso la radio pubblica iraniana.
La Repubblica islamica, impegnata da oltre un anno in una spietata campagna per contenere la delinquenza che infesta il paese, sembra contare molto sul potere deterrente delle esecuzioni di massa. Dalla scorsa estate il regime rincorre una sorta di macabro record. Nel settembre dello scorso anno le autorità giudiziarie avevano annunciato la prima grande giornata di esecuzioni di massa con un totale di 27 impiccagioni in due diverse città. Il 2 gennaio di quest’anno il boia del carcere di Evin aveva stretto il cappio al collo di 13 disgraziati in una sola mattina. Ieri ha superato se stesso, riuscendo a far penzolare dalle forche 29 corpi in poco più di dieci minuti di lavoro. «Le persone mandate a morte questa mattina avevano un lungo passato criminale alle spalle, ed erano tornate a macchiarsi di nuovi crimini anche dopo esser state imprigionate per altri precedenti crimini», ha commentato Mortazavi quasi per giustificare quell’alba di morte.
Del resto quando si tratta di eseguire pene capitali l’Iran non sembra molto preoccupato dei giudizi e delle condanne internazionali. Da qualche anno la Repubblica islamica è piazzata subito dietro la Cina nella poco invidiabile classifica dei primatisti mondiali delle esecuzioni. Mentre i boia della Repubblica popolare hanno eseguito almeno cinquemila condanne a morte, nel 2007, secondo l’associazione italiana “Nessuno tocchi Caino”, quelli iraniani avrebbero messo a morte almeno 355 persone. Secondo i calcoli di Amnesty, il conteggio finale si fermerebbe a 317 esecuzioni.
E dallo scorso luglio - malgrado le proteste delle associazioni per i diritti umani e la moratoria sulla pena di morte votata dall’Onu - le esecuzioni sono aumentate in maniera esponenziale, sull’onda di una campagna lanciata dal regime degli ayatollah per combattere i comportamenti «immorali» e arginare un tasso di criminalità in costante ascesa. I 29 condannati accompagnati alla forca ieri mattina hanno portato a 166 il numero delle esecuzioni registrate soltanto nei primi sette mesi di quest’anno.
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