Iran: «Stop arricchimento in cambio di combustibile»

Mahmoud Ahmadinejad torna a casa e si porta dietro il suo nuovo, focoso cavallo di battaglia. Quello già fatto correre nelle sale di Palazzo di Vetro. Lì, parlando a poca distanza da Ground Zero, ha reinterpretato gli eventi dell’11 settembre, puntato il dito contro l’America, sciorinato le teorie complottistiche secondo cui «segmenti del governo americano orchestrarono l’attacco per rimettere in riga un’economia in declino, tenere in pugno il Medio Oriente e salvare il regime sionista». Roba da mandare su tutte le furie Barack Obama che dopo aver cercato di sedurlo rilanciando proprio all’Onu la possibilità di un nuovo dialogo si ritrova costretto a rispondergli per le rime e a liquidare come «offensive, odiose e imperdonabili» le sue dichiarazioni. La risposta è esattamente quel che Ahmadinejad desidera. La reazione di Obama – dichiara il leader iraniano non appena atterrato a Teheran - «è stata dilettantesca... se non c’è niente da nascondere basta presentare tutti gli atti a una commissione d’inchiesta e combattere assieme i terroristi coinvolti». Subito dopo pretende un nuovo esame di quella che definisce «la scatola nera» dell’11 settembre, esige inchieste accurate «per permettere che tutti i fatti siano rivelati». «A causa dell11 settembre - ricorda - tutte le nazioni, comprese quelle del Medio Oriente, sono state esposte a minacce e oppressione» e conclude accennando a una lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite in cui avrebbe già «dato spiegazioni dettagliate su questi avvenimenti». Sono parole in libertà, ipotesi senza costrutto, tesi ancor meno argomentate di quelle diffuse su internet da decine di siti complottisti. Ma poco importa. Il gioco è quello già impiegato per far correre l’altro cavallo di battaglia quello che prometteva la cancellazione d’Israele dalle carte geografiche. Come in quel caso Ahmadinejad punta a rilanciare in continuazione, a regalare nuovi slogan e nuove immaginarie sfide a tutti coloro che nel mondo lo considerano l’ irriducibile profeta della lotta a Stati Uniti e Israele.
Se in trasferta è facile sputare fuoco fiamme, in patria non è così semplice. E soprattutto non in questo momento. Non mentre la Repubblica islamica incomincia a sentire le conseguenze delle sanzioni. Non mentre qualcuno ai piani più alti si chiede se sia stata una grande pensata favorire l’ascesa di quel «presidente pasdaran». Per intuire le difficoltà in cui si dibatte Ahmadinejad basta prestare attenzione alle frasi con cui - prima di lasciar New York - annuncia che l’Iran sospenderà la produzione di uranio arricchito al 20% se gli sarà fornito il combustibile nucleare necessario per alimentare un reattore per scopi medici situato alla periferia di Teheran. «Prenderemo in considerazione la possibilità di fermare l’arricchimento dell’uranio – dichiara - solo quando disporremo del combustibile nucleare». La proposta è irricevibile. I negoziatori del cosiddetto 5 più 1 ( Usa,Germania, Francia, Inghilterra, Cina e Russia più la Germania) hanno sempre posto come premessa per qualsiasi negoziato la sospensione preventiva dell’arricchimento. Ma quella proposta non punta a soddisfare Obama o l’Occidente.
Quell’accenno a un negoziato punta a rassicurare e ad ammansire la Suprema Guida Ali Khamenei. La principale autorità del Paese è da tempo irritata per le posizioni irriducibili assunte dal presidente e dai danni che le sanzioni stanno causando all’economia. Un’irritazione leggibile tra le righe di giornali molto vicini alla Suprema Guida come Kayhan e Jomhouri Islami. Da settimane criticano apertamente le politiche di un presidente colpevole di aver esposto il Paese agli attacchi dei suoi nemici e di aver indebolito l’economia facendo impennare l’inflazione e aumentando l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti del regime. Non a caso alla vigilia del viaggio di Ahmadinejad, il professor Sadegh Zibakalam, uno degli analisti più legati agli ambienti conservatori del regime, ha esposto su Aftab News i danni provocati dalle sanzioni.

Fatti e critiche che per molti osservatori suonano come un «de profundis» destinato a trasformare il presidente in un fantoccio senza più potere e autorità, uno zombie relegato in un angolo in attesa della fine del suo infausto mandato.

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