Iraq: una guerra è finita, ma ora ce n'è un'altra

Non erano trascorse neppure 48 ore dalla partenza ufficiale degli americani dall’Irak dopo 9 anni di guerra, quella che verrà un giorno chiamata la terza guerra, e sembra già scoppiarne una nuova - questa volta inter araba fra sunniti e shiiti - e che un giorno forse sarà ricordata come la quarta guerra d’Irak. Il premier shiita Kamal Maliki, di fresco tornato dalla Casa Bianca dove era stato incoronato da Obama come un simbolo della nuova democrazia inter comunitaria araba, ha ordinato l’arresto del vice presidente sunnita dell’Irak Tariq al Hashemi (uno dei personaggi più pro americani e legati all’ambasciatore Usa) per tentato assassinio. Così hanno rivelato alla tv di Bagdad tre sue guardie del corpo secondo le quali Hashemi avrebbe loro offerto denari per uccidere non meglio precisate personalità shiite. Anche il vice premier, sunnita, Salah al Muttlak è stato accusato di feroci crimini e non è chiaro dove si trovi. Hashemi comunque si è rifugiato nella provincia curda semi autonoma nel nord da dove ha respinto tutte le accuse: «Giuro nel nome di Dio che non mi sono mai macchiato né mai mi macchierei del peccato di spargere sangue iracheno» ha dichiarato. Il presidente del parlamento iracheno, sunnita, Osama al Nujaifi per parte sua ha dichiarato che le rivelazioni televisive contro Hashemi sono di natura settaria, miranti a sfruttare la storica lotta fra sunniti e shiiti.

Non si tratta soltanto di uno scontro religioso fra la maggioranza sunnita dell’islam e la minoranza shiita vecchio da secoli. Su esso si innesta lo scontro politico «nazionale» fra Arabi e Persiani, fra i due paesi controllori del Shat el Arabi, dove passa il 40% del petrolio iracheno e iraniano. Più acceso è lo scontro per stabilire quale sarà in futuro la principale grande potenza regionale, se sarà l’Iran (shiita) o l’Arabia Saudita (sunnita) a dominare il Medio oriente nella scia della rivolta araba. Chi esce malconcio da questa nuova grossa tensione è l’America. Dopo aver speso miliardi e sangue in Irak vede la sua visione di democrazia inter comunitaria araba e la sua influenza infrangersi sulle scogliere delle rivalità etniche, tribali, irachene. Lo stato iracheno non è mai esistito. È stato «inventato» dagli inglesi dopo la prima guerra mondiale (persino il suo nome è stato cercato in quello di una periferica tribù nel nord di un paese che per millenni era stato conosciuto come Mesopotamia). Questa situazione preoccupa i sauditi che hanno appena annunciato l’intenzione di creare un corpo di «giovani combattenti» forte di mezzo milione di uomini. Annuncio sorprendente se si pensa che il regno saudita possiede una delle più numerose e moderne armate.

Ma non poi così sorprendente se si pensa che questi «giovani» potrebbero essere chiamati a dirigere le loro energie e il loro patriottismo invece che contro il regime saudita contro un «nemico» esterno che potrebbe essere quello rivoluzionario shiita. Si comprende allora perché - nonostante tutte le tensioni fra Obama e Netanyahu - l’America che vede in pericolo le sue basi militari nel mondo arabo sta trasferendo una parte del suo più moderno equipaggiamento militare in Israele. Qui molto discretamente si stanno allargando le sue basi che includono persino una presenza ospedaliera avanzata da aggiungere a quella in Germania, dove sino ad ora erano diretti i militari feriti sui campi di battaglia medio orientali.

Chi pensa che le relazioni fra Gerusalemme e Washington possano naufragare sulla questione palestinese, su quella delle costruzioni di appartamenti civili a Gerusalemme est, sulla cattiva chimica fra Obama e Natanyahu o su un attacco israeliano all’Iran senza il permesso di Washington, si illude.

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