La crisi dell’Irlanda non è la crisi dell’economia di libero mercato ma quella del capitalismo assistito, dominato da banche ruggenti, che avendo effettuato operazioni spericolate, con grandi rischi, hanno poi chiesto e ottenuto l’aiuto dello Stato, che le ha in parte statalizzate a carico del bilancio pubblico, il che non è né liberale, né conforme all’interesse dei cittadini comuni e delle imprese che operano senza stampelle pubbliche. Il credito immobiliare è stato pompato a dismisura dalle banche irlandesi, con prestiti facili. Il valore degli immobili è aumentato di 5 volte in pochi anni ma dopo il boom c’è stato il crollo che ne ha dimezzato il valore, in un anno. L’Anglo Irish Bank che stava per fallire così è stata presa dallo Stato, con una nazionalizzazione totale, che comporta che si è caricato di tutti i suoi debiti. Quanto alla Bank of Ireland, la maggiore, lo Stato se ne è accollato il 36% del capitale, ma, anche in questo caso, ne ha garantito tutti i depositi e tutti i debiti. Della Allied Irish Bank, che è al secondo posto, per importanza, ha comprato solo il 18%. Però ha garantito al 100% sia i depositanti che i creditori. Con queste operazioni di assistenzialismo, lo Stato irlandese non solo si è indebitato pesantemente, ma ha assunto anche impegni di garanzia che gli creano ora nuovi gravi problemi.
Il deficit di bilancio dell’Irlanda quest’anno, con il costo dei salvataggi bancari è il 30% del prodotto nazionale, che è di circa 180 miliardi di euro. Il debito pubblico così è passato dal 20% del prodotto nazionale del 2008 al 50-60%. L’anno prossimo arriverà all’80-90%. Ancora sopportabile. Ma ci sono le garanzie statali alle banche irlandesi, che hanno enormi esposizioni debitorie con quelle inglesi, tedesche, francesi, degli Usa. Nel complesso, si tratta di circa 550-600 miliardi, che l’Irlanda teoricamente si dovrebbe accollare in aggiunta al debito pubblico esistente, ove non ci fossero interventi per bloccare la corsa dei risparmiatori al ritiro dei depositi, che è ricominciata.
Le banche inglesi tra crediti verso quelle irlandesi e debito pubblico di Dublino sono esposte per 222 miliardi, quelle tedesche per 215, le americane per 114, Parigi per 86, Roma per circa 30, Madrid per 16 e Tokio per 23. Se tutte queste esposizioni dovessero essere acquisite dall’Irlanda essa crollerebbe sotto un debito multiplo dell’intero reddito della popolazione. Il Financial Times e vari esperti chiedono interventi più limitati, ancorché consistenti della comunità internazionale per dare prestiti al governo di Dublino con cui esso dovrebbe intervenire nuovamente in aiuto alle banche, con capitali freschi per calmare i risparmiatori-depositanti. Il governo inglese, il Fondo europeo di stabilità e il Fondo monetario internazionale darebbero all’Irlanda un centinaio di miliardi, pari al 55% del suo prodotto nazionale al tasso del 5%. I leader politici del governo di Dublino sono esitanti a chiedere questo aiuto, che comporta di sottostare a regole che ne limiteranno l’autonomia.
In particolare questi leader politici non vorrebbero l’umiliazione di dover chiedere un grosso prestito agli inglesi, contro cui hanno combattuto, come patrioti, anche con le bombe e i fucili. Ma la Banca centrale dell’Irlanda, gli istituti irlandesi e i giornali finanziari amici di banche creditrici premono perché il governo di Dublino accetti subito un sostanzioso pacco di miliardi e lo spenda per le banche senza che esse facciano la loro parte di sacrifici. Secondo le regole del mercato, le banche dovrebbero avere sia i profitti (che hanno realizzato largamente in passato) che le perdite delle proprie operazioni. Angela Merkel, correttamente, sostiene che il contribuente non può essere un pagatore di ultima istanza dei rischi eccessivi che gli altri hanno assunto in proprio. Nel braccio di ferro, si è sprecato molto tempo. Ma ora quello disponibile è finito. Se non si risolve il problema irlandese si rischia il contagio, nei riguardi di tre altri Stati, facenti parte dell’area euro, che hanno problemi di crisi finanziaria: nell’ordine la Grecia, che già sta malissimo, il Portogallo che sta molto male e la Spagna che sta male. In questi scenario, il nostro governo, che ha agito saggiamente, fa parte della équipe di coloro che prestano i soccorsi.
È lecito domandarsi dove saremmo ora se non ci fosse stato questo governo tirchio, accusato di non fare abbastanza per lo sviluppo, a differenza di Irlanda, Spagna ecc.
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