Domenica 18 giugno si vota per il federalismo. Ma come - diranno quelli bene informati - il voto non è il 25 e il 26 giugno? Cari bene informati, io stavo parlando del voto in Catalogna, dove verrà approvato un nuovo statuto che ha messo un bel po' di subbuglio nel Parlamento spagnolo. Altro che devolution: è già tanto se là, dalle parti di Barcellona, Madrid è riuscita a evitare che si mandasse una squadra di calcio catalana ai mondiali. La quasi coincidenza del voto sul federalismo in Spagna e in Italia, è fonte di grande divertimento per chi ama osservare il divincolarsi argomentativo della nostra sinistra. A questo proposito si legga un formidabile articolo di Maurizio Matteuzzi sul Manifesto del 4 giugno. «Ci sarà qualcuno che si chiede - scrive Matteuzzi - perché mai se in Spagna un federalismo sempre più spinto va bene (e ci piace) per la Catalogna, la devolution leghista per la Padania venga (da noi) giudicata un'orrenda iattura per l'Italia. Non è solo - prosegue Matteuzzi - perché là a proporla è un governo di sinistra e ad opporvisi è l'opposizione di destra e qui a proporla è stato un governaccio della peggiore destra». Non è solo per questo motivo, spiega il Manifesto, è che in Spagna il franchismo era centralista. Invece il nostro fascismo era tutto autonomie e decentramento?
Poi ci si spiega che la Catalogna ha tanta storia: è un fattore differenziale nella storia spagnola. Mentre il Veneto, la Lombardia sono regioni inventate da Umberto Bossi negli anni Ottanta: con tutte le annesse balle sui Dogi, Carroccio e così via. La Catalogna ha una sua lingua, si sostiene ancora: mentre il Veneto di un tal Carlo Goldoni sarebbe un dialettaccio di quarta. E via, con questi sofisticatissimi argomenti.
In realtà l'Europa andrebbe studiata senza queste faziosità dai cittadini che voteranno il 25 e il 26 giugno. A partire dalla Spagna, dove l'autonomia «spinta» di una regione storicamente poverissima come quella basca ha prodotto una realtà economica di prima grandezza, sede di una delle banche più attive sul continente, quel Bilbao che con la complicità di Luigi Abete si voleva mangiare la nostra Bnl. Se non piace la penisola iberica, si studi il «caso Galles», devastato dalla chiusura delle ormai obsolete miniere e trasformato in un paradiso delle tecnologie anche grazie alla devolution blairiana, che tra l'altro ha consentito politiche di flessibilità occupazionale e sindacale con frutti formidabili per l'occupazione. Alle popolazioni meridionali, frastornate dalla propaganda di sindacati e altre associazioni categoriali avvoltolate in logiche centralistiche (per cui il proprio potere conta più degli interessi di chi si rappresenta), da amministratori che dal rapporto con Roma derivano il loro peso clientelare, andrebbe spiegato che una seria devoluzione dei poteri dello Stato (certamente nel quadro solidaristico in cui è stata impostata dalle riforme costituzionali del centrodestra) alle Regioni, è l'unica via per consentire quel vero decollo che sicuramente non verrà dalle moltiplicazioni di assunzioni di guardie forestali.
La libertà (e in particolare quella essenziale di poter controllare il rapporto tra le tasse che si pagano e i servizi che si ricevono: libertà possibile veramente, solo in un quadro di reale devoluzione di poteri dallo Stato alle Regioni) è il miglior viatico per qualsiasi sviluppo. Ed è per tenere aperta questa chance che il 25 e il 26 giungo, esattamente come faranno una settimana prima in Catalogna, bisogna votare «sì» alla conferma delle riforme costituzionali approvate in questi ultimi anni.
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