"Israele? La Chiesa non è contro nessuno"

Parla Antonios Naguib, 75 anni, il patriarca cattolico di Alessan­dria dei copti, relatore del Sino­do sul Medio Oriente

«Tutto il Sinodo è stato pen­sato per favorire il dialogo, per eliminare le cause del dolore sofferto dalle popolazioni, non per aumentare contrasti...». Antonios Naguib, 75 anni, è il patriarca cattolico di Alessan­dria dei copti, relatore del Sino­do sul Medio Oriente. Mercole­dì scorso Benedetto XVI ha in­cluso anche il suo nome nella lista dei nuovi cardinali e ieri se­ra ha partecipato a un conve­gno promosso dal Centro cultu­rale di Milano. Il Giornale l’ha intervistato all’indomani delle polemiche sollevate contro il Sinodo dal governo israeliano.
Israele ha detto che il Sino­do è diventato un forum di attacchi contro lo Stato ebraico. Come risponde?
«Dico innanzitutto che non è vero, perché né la Chiesa né i suoi vescovi possono prende­re posizioni contro il Vangelo. La Chiesa non è contro qualcu­no. Però la verità non va taciuta e da Pio XII in poi tutti i Papi hanno reclamato i diritti del po­polo palestinese ad avere una patria con confini certi. Come pure è stato ribadito, anche al Sinodo, Israele ha diritto di vi­vere in pace e sicurezza. Non possiamo dimenticare che il conflitto israelo-palestinese a­t­tende una soluzione da 62 anni e mancano i segni di una vera volontà di risolverlo, anche se la colpa di ciò non può certo es­sere attribuita soltanto a una parte».
Israele ha reagito anche al passo del messaggio del Si­nodo sul ricorso alla Bibbia per giustificare l’occupazio­ne nei Territori...
«È un dato di fatto che ci sia chi giustifica con la Bibbia certi atteggiamenti. Non sto parlan­do solo dei coloni nei Territori palestinesi, penso anche a cer­te correnti cristiane evangeli­che americane. Questo però non deve farci dimenticare che gli ultimi Pontefici, e il Sinodo, hanno condannato con chia­rezza l’uso del nome di Dio per giustificare l’odio e il terrori­smo fondamentalista. Dun­que non credo che siamo stati anti-israeliani».
Che cosa pensa dell’inter­vento del vescovo libanese Beylouni sui versetti corani­ci che invitano «imporre la religione con la forza»?
«Penso che si sarebbe dovu­to leggere tutto: il vescovo dice­va che con i musulmani biso­gna dialogare per storicizzare e contestualizzare proprio quei versetti coranici che inci­tano alla violenza. Beylouni ha consegnato il suo intervento scritto, che non è stato discus­so, e non sapeva che sarebbe stato pubblicato integralmen­te. Di questo argomento si è co­munque parlato dei gruppi di lavoro al Sinodo: noi crediamo che sia necessario studiare e ri­vedere certe citazioni che sono state scritte in epoche e conte­sti diversissimi, e che oggi ven­gono usate per giustificare atti di violenza».
Lei vive in Egitto. Il fonda­mentalismo la preoccupa?
«Quasi tutti i Paesi arabi so­no riusciti a dominare e conte­nere abbastanza la situazione, ma la componente fondamen­­talista guadagna terreno. La li­bertà di culto è garantita, ma la libertà di coscienza, di cambia­re religione, no».
I cristiani emigrano dalla Terra Santa e dal Medio Oriente. Scompariranno?
«Dobbiamo fare di tutto per evitarlo. I cristiani emigrano per motivi economici, per l’in­stabilità dell’area, per il perma­nere dei conflitti.

E ci sono gruppi che agiscono anche ille­galmente per obbligare i cri­stiani ad andarsene, come ac­cade in Irak, dove si è ipotizza­to di creare un’enclave al Nord e di radunarli in quel luogo. Ma la storia ci insegna che i ghetti possono essere il preludio di azioni ben più gravi».

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