Gerusalemme - «Devastante»: a Gerusalemme così definiscono, anche se sottovoce, la pubblicazione del rapporto delle agenzie di intelligence americane, secondo cui l’Iran fermò il progetto atomico nel 2003. La nazione minacciata di morte da Ahmadinejad ad ogni emissione di fiato è molto preoccupata, anche se il premier Olmert dice che col presidente Bush si era già concordato, proprio sulla base del nuovo rapporto, che sia «vitale intensificare gli sforzi per prevenire l’Iran dallo sviluppare il potere nucleare», e assicura: «Seguiteremo a farlo con i nostri amici americani». Ehud Barak ha accusato il colpo più realisticamente: «Se anche l’Iran avesse arrestato per un certo periodo il programma nucleare, oggi sappiamo che l’ha ripristinato, e parliamo di una parte del programma a cui l’intelligence americana non ha accesso, checché ne dicano i servizi dei nostri antichi alleati».
Anche molti capi militari, come Ghiora Eiland, pensano che se gli Usa recedono dal loro ruolo di testa di ponte per la durezza delle sanzioni e soprattutto «se la deterrenza di un possibile attacco militare alle installazioni - dice Eiland - non permarrà, la bomba sarà pronta ben prima che ci si aspetti».
Il messaggio ha acquistato subito lo status di una presa di posizione politica: questo per Israele risulterebbe devastante in senso addirittura fisico, dato che come è noto la bomba ha un suo obiettivo preferito, Israele e il popolo ebraico. Ci sono due possibilità: o i servizi segreti, e non sarebbe la prima volta, hanno deciso di affossare la politica di Bush, oppure sta vincendo quella che potremmo individuare come la linea di Condi Rice. L’idea, in questo secondo caso, è quella espressa dai ben otto viaggi di Condi in Medio Oriente alla ricerca del consenso arabo che ha permesso la conferenza di Annapolis per creare un’aureola pacifista all’amministrazione. Questo, alla faccia di chi crede che la lobby ebraica guidi la politica americana.
Se si va a leggere lo stesso rapporto, esso in ogni caso non dichiara affatto un cessato allarme: prevede infatti che, anche se nel 2003 c’è stata un’interruzione probabilmente dovuta a pressioni politiche, l’attività è probabilmente ripresa in siti nascosti, così da promettere l’arma atomica per un periodo fra il 2009 e il 2015. Previsioni distanti di poco più di un anno da quelle israeliane, che invece prevedono che Ahamadinejad avrà l’arma nucleare nel 2009. Inoltre il rapporto stesso dice che nel 2006 fu ripresa la costruzione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, e che nel 2007 c’è stato un grosso salto in avanti con l’attività della centrale di Natanz. Quanto alle intenzioni politiche dell’Iran, il rapporto non incita affatto a non esercitare pressioni: al contrario, prevede che solo una vera svolta politica fermerà l’Iran dalle armi nucleari. Si insiste nel dire che è molto difficile avere informazioni precise, perché probabilmente Ahmadinejad lavora in siti coperti.
Una volta stabilito dunque che nel documento non c’è scritto che l’Iran non è più pericoloso, resta il rischio molto verosimile che esso invece venga interpretato in questo modo specie dall’Europa e in particolare dall’Italia. Il senso di mancanza di responsabilità a favore di un comodo appeasement può risolversi nel materializzarsi della bomba nel 2010 nelle mani di uno stato integralista, irresponsabile, genocida, sostenitore di Hamas e degli hezbollah, capace, infine, di ricattare il mondo intero con la minaccia di spingere il bottone rosso.
Ma le novità di questi giorni hanno un risvolto psicologico enorme: Israele, se mai dovesse decidere che la sua vita ormai è esposta a un pericolo estremo e si avviasse a colpire le strutture atomiche khomeiniste, potrebbe trovarsi completamente sola.
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