Israele: Gaza, un problema egiziano

Il governo Olmert pensa alla definitiva separazione con la Striscia. Pronti i piani di un’offensiva contro i guerriglieri che lanciano razzi su Sderot. La contromisura degli integralisti palestinesi: minacciano un’operazione analoga con lo Stato ebraico. Mubarak ai fondamentalisti: "Non provocate le nostre forze di sicurezza"

Israele: Gaza, un problema egiziano

Gerusalemme - Ora Israele sogna l’estremo addio, la definitiva separazione da Gaza e il bicchiere semivuoto gli appare, d’improvviso, colmo d’opportunità inattese. Prima il governo di Ehud Olmert vedeva solo lo scacco matto, l’esplosiva piroetta con cui Hamas aveva abbattuto il muro di Rafah e cancellato il blocco trasformando Gaza in un territorio aperto, strappando la solidarietà araba, conquistando la simpatia di tutti i palestinesi e azzerando gli accordi internazionali sul valico di Rafah.

Ora lo stesso governo assapora l’opportunità di scrollarsi di dosso tutti i problemi abbandonando qualsiasi obbligo nei confronti della Striscia e del suo milione e mezzo di palestinesi. Il primo a proporlo ipotizzando la sospensione definitiva di qualsiasi fornitura d’acqua, medicine ed elettricità è il vice ministro della Difesa Matan Vilnai. «Dal momento che Gaza è stata aperta dall’altro lato noi cessiamo di avere qualsiasi responsabilità, per questo - spiega Vilnai - vogliamo scollegarci da essa».

Il ragionamento in termini di principio non fa una grinza. Israele, ritiratosi dalla Striscia nell’estate del 2005 dopo 38 anni d’occupazione, conservava il dovere di rifornirla perché continuava a limitare la circolazione dei suoi cittadini e a esercitare un indiretto controllo sul valico di Rafah. Una volta abbattuto il muro tra Gaza e l’Egitto, la responsabilità cessa di esistere. La sortita israeliana deve però far i conti con le pressioni internazionali e con l’aperta contrarietà dell’Egitto. «Questa è una conclusione sbagliata, la situazione attuale è solo un’eccezione temporanea, il confine ritornerà alla normalità», fa sapere dal Cairo il ministero degli Esteri.
Intanto il presidente Hosni Mubarak, che 24 ore prima sosteneva di dover accogliere i palestinesi a causa del blocco israeliano, spara a zero contro Hamas. «Respingiamo - dichiara - ogni tentativo di coinvolgere l’Egitto nelle loro dispute e di fomentare una crisi con le forze dell’ordine egiziane a Rafah».

Dopo aver giocato all’apprendista stregone con i fantasmi della Striscia ignorando la gruviera di tunnel scavata tra il Sinai e la Striscia e i traffici clandestini che l’attraversavano, Mubarak realizza, insomma, di star finendo prigioniero della gabbia apertasi davanti a lui. In caso d’addio israeliano dovrà badare ai palestinesi della Striscia e non potrà permettersi di alzare voce, manganelli o fucili per non dar fiato alle proteste dei Fratelli Musulmani, il potente movimento d’opposizione interno padrino dei fondamentalisti di Gaza.

La nuova posizione israeliana spiazza anche Hamas, che puntava a guadagnare legittimità imponendosi come protagonista di una trattativa internazionale sul controllo del valico di Rafah. Ahmed Yousef, consigliere dell’ex premier di Hamas, Ismail Haniyeh, minaccia di abbattere anche il valico di Eretz tra Gaza e Israele. «In un futuro non lontano - ipotizza - potremmo anche vedere mezzo milione di palestinesi precipitarsi verso Eretz sfidando ogni rischio».
Israele s’accontenta per ora di far i conti con le minacce più concreti determinate dall’apertura di Gaza. I cinque missili Qassam lanciati ieri dalla Striscia sembrano il preludio di incessanti bombardamenti favoriti dal passaggio di nuovi e più potenti ordigni.

L’ipotesi più pericolosa è però la fuoriuscita da Gaza di squadre di militanti pronti a rapire i turisti israeliani nel Sinai o a infiltrarsi nello Stato ebraico.

Non a caso il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha fatto sapere di tener pronto il piano che prevede la rioccupazione della Striscia fino alla completa eliminazione delle cellule armate e dei loro arsenali. Domenica Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen dovrebbero incontrarsi a Gerusalemme per discutere la situazione.

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