Israele Ora Netanyahu vuol mostrare agli Usa che è capace di mordere

A Gerusalemme assieme al clima estivo si riscalda quello politico, con Netanyahu apparentemente deciso a allargare il conflitto sia con Washington che con i membri insicuri della sua coalizione.
A torto o a ragione è convinto che Washington voglia sostituirlo con il capo dell'opposizione, la Livni, considerata più malleabile nei confronti dei palestinesi. Deciso a prevenire l'alleato, ma anche convinto del buon diritto di Israele, respinge la richiesta americana (e francese) di arrestare le costruzioni negli insediamenti ebraici e soprattutto nella zona araba della città su terreno privato ebraico. E sembra aver ottenuto un successo data la dichiarazione del portavoce di Washington, che ha smentito le voci di sanzioni economiche contro Israele su questa questione.
Netanyahu è mosso dalla convinzione che la politica di negoziazione a tutto campo coi nemici di Israele è fallita con l'Iran, la Russia, la Corea del Nord non meno di quella militare in Afghanistan. Mosca bloccherà nuove sanzioni contro l'Iran, per cui l'opzione militare israeliana ridiventa attuale. L'America non può indebolire l'unico alleato capace di agire contro la nuclearizzazione persiana, più pericolosa per gli arabi che per Israele stesso.
Ma il premier israeliano sembra propenso a provocare una crisi interna. Anzitutto per mettere fine all'insubordinazione dei membri socialisti della coalizione. Li ha avvertiti che se la settima prossima voteranno contro il progetto governativo di privatizzare le proprietà terriere del Fondo Nazionale ebraico (per costituzione sono considerate possesso inalienabile del popolo ebraico) nei pressi delle città in cambio di terre governative nel Negeve e in Galilea (dove il governo vuole impedire l'occupazione illegale da parte dei beduini), privatizzazione che divide i partiti, li espellerà dal governo. Questo porterebbe a nuove elezioni e - come ha dimostrato il governo dimissionario Olmert - manterrebbe Netanyahu al governo per mesi con pieni poteri, senza timore di essere messo in minoranza al Parlamento, sino alla formazione di un nuovo esecutivo.
Ma c'è di più. Solo il 6% dell'elettorato israeliano crede che Obama sia amico di Israele. La maggioranza è convinta che, sotto l'influenza dei suoi consiglieri sinistroidi, di origine ebraica e israeliana (come il capo di Stato Maggiore della Casa Bianca), Obama ha cercato di "comprare" il sostegno islamico con pressioni su Israele. Una vecchia tesi della diplomazia inglese che Israele ha combattuto con successo. Netanyahu crede di poterlo fare con un Paese unito contro la politica di Obama a favore dei palestinesi, disponendo di una forza militare di cui l'America ha bisogno, di un largo sostegno al Congresso e al Senato di Washington, preoccupato del "socialismo" del presidente. C'è anche un'altra ragione per la sua fiducia. Israele ha finalmente scoperto riserve energetiche nel suo mare. Ieri la compagnia elettrica israeliana ha firmato un contratto di un miliardo di dollari per forniture di gas, battendo l'offerta egiziana. Nel 2011 il 46% dei bisogni energetici israeliani saranno coperti da forniture nazionali o indipendenti da Paesi ostili. Il risparmio per l'importazione di greggio e le nuove disponibilità di denaro danno a Netanyahu la speranza di portare il Paese fuori dalla crisi e farsi rieleggere.

Se Obama ha voluto dimostrare che Israele non è più la «coda che fa muovere il cane americano», lui vuole sfatare questa teoria antisemita e mostrare all'America e ai suoi vicini che il «cane» israeliano è capace di mordere.

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