Gian Micalessin
Hamas è già pronta. Israele ci sta ancora pensando. A due giorni dalla prima riunione del nuovo Parlamento palestinese dominato da una maggioranza di 72 deputati fondamentalisti su 132 eletti, Israele non ha ancora messo a punto una strategia per contenere il grande nemico. Il premier ad interim Ehud Olmert ha ripetuto ieri di esser pronto a tagliare tutti i contatti con la nuova Autorità palestinese controllata dalla formazione radicale. Ma la decisione non è ancora definitiva. Scegliendo la chiusura totale, Israele rinuncerà a qualsiasi negoziato e abbandonerà al proprio destino il presidente Abu Mazen che si ritroverà così ostaggio di Hamas.
Il gruppo fondamentalista - anticipando la mossa del nemico - ha già annunciato di voler proporre Aziz Dweik, un professore di geografia veterano del movimento ed eletto a Hebron, come presidente del Parlamento. Qualsiasi mossa israeliana capace di determinare le dimissioni di Mazen si trasformerà così in un pericoloso azzardo. In caso di dimissioni, morte o incapacità fisica di Mazen - Hamas si ritroverà in mano non solo il governo, ma anche la presidenza ad interim.
La coperta del premier ad interim Ehud Olmert resta dunque troppo corta. E il tempo stringe. Sempre ieri Hamas ha anticipato la scelta di affidare a Mahmoud Zahar la guida della propria rappresentanza parlamentare. La decisione di tenere unesponente dellala più integralista come Zahar lontano da compiti istituzionale rende quasi certa la scelta come primo ministro di Ismail Hanya. Lo stesso Hanya, un leader moderato demiurgo della svolta politica del movimento, ha annunciato la formazione del nuovo esecutivo entro due settimane.
Mentre Hamas prosegue dritta sul proprio cammino i ministri israeliani rimbalzano da una riunione allaltra. A questo punto hanno solo 24 ore di tempo per definire una strategia capace di far coincidere le esigenze interne e quelle internazionali senza esacerbare le divisioni allinterno di Kadima. Lequazione non è facile. Ieri il ministro degli Esteri signora Tzipi Livni e i suoi più stretti consiglieri hanno esaminato i pro e i contro di un eventuale blocco di tasse e dazi doganali raccolti per conto dellAutorità palestinese. Senza quei 50 milioni di dollari mensili leventuale governo di Hamas non riuscirà né a pagare gli stipendi, né a garantire i miglioramenti socio-economici promessi in campagna elettorale.
Lopzione rende però più probabile un ricorso ai finanziamenti di matrice iraniana offrendo a Teheran lopportunità di giocare un ruolo attivo nei territori. Oltreoceano il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha intanto confermato nel corso di unaudizione al Senato la decisione di non fornire alcun aiuto economico a un eventuale governo controllato da Hamas. «Non voglio che un solo penny dei contribuenti vada ad Hamas», ha detto al segretario di Stato il senatore George Allen. «Neppure io», ha ribattuto la Rice. La risposta conferma indirettamente le indiscrezioni, riportate in un articolo del New York Times, secondo cui israeliani e americani punterebbero sullo strangolamento economico dellAnp per far cadere in pochi mesi il nuovo governo fondamentalista.
Il ministro delle difesa israeliano Shaul Mofaz esaminerà, oggi, eventuali ritorsioni nel settore della sicurezza come il ritorno da un blocco quasi totale dei movimenti in Cisgiordania. Shaul Mofaz confermando la sua fama di falco ha già fatto sapere di dare per scontato il congelamento di tutti i contatti con lAnp non appena Hamas imporrà un proprio premier o un proprio presidente del Parlamento. Ma la decisione sul da farsi non arriverà prima di venerdì quando Olmert metterà a punto la posizione finale assieme a tutto lesecutivo.
Intanto - quasi a conferma delle proprie incertezze - Israele ha rimesso in libertà, dopo cinque mesi di detenzione amministrativa, Ahmed Haj Ali, un deputato di Hamas eletto con il maggior numero di voti nella circoscrizione di Nablus.
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