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Israele: sì a soldati Nato nel Sud del Libano

Marcello Foa

Oltre alle bombe, la diplomazia, ma questa volta non è solo un auspicio. Israele è disposta ad accettare nel Sud del Libano una forza multinazionale «robusta» e «temporanea», possibilmente sotto la guida della Nato. Ad annunciare la svolta, che giunge inattesa considerata la ritrosia con cui lo Stato ebraico aveva accolto la proposta formulata sette giorni fa al G8 di San Pietroburgo, è il ministro della Difesa Amir Peretz, al termine di un colloquio con il suo omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. Proposta che il premier Olmert sottoscrive purché «la forza di interposizione sia formata da Paesi della Ue». La scelta dei tempi non è casuale. Oggi il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice inizia a Gerusalemme la sua missione di pace che la porterà domani a Ramallah, dove incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen e mercoledì a Roma per il vertice con i principali Paesi della Ue, la Russia, l’Onu e i Paesi arabi moderati. Washington ha atteso dodici giorni prima di avviare un’iniziativa che gli alleati europei e una parte importante dell’opinione pubblica europea reclamavano da tempo. Dodici giorni in cui Israele ha avuto carta bianca per tentare di estirpare la guerriglia Hezbollah. Ma sebbene il sostegno al premier Olmert rimanga intatto, gli Usa hanno bisogno di un successo politico che permetta loro di recuperare prestigio e credibilità soprattutto di fronte al mondo arabo.
Sbaglia chi ritiene che le mediazione della Rice non sia che un diversivo per concedere al governo di Gerusalemme il pretesto per continuare a tempo indeterminato la campagna militare. L’America fa sul serio e Israele, naturalmente, si adegua. «Il nostro obiettivo è di vedere l’esercito libanese dispiegarsi lungo il confine, ma capiamo che si tratta di un esercito debole e che nel medio periodo dobbiamo accettare una forza multinazionale», dichiara Peretz, accettando uno dei punti chiave del piano di pace concordato al G8 e messo a punto dall’Amministrazione Bush d’intesa con l’Onu. Il ministro della Difesa invoca le truppe della Nato, sul modello della missione militare dispiegata con successo in Bosnia e in Kosovo. «Consideriamo attentamente questa possibilità», risponde da New York l’ambasciatore Usa all’Onu John Bolton, precisando che il contingente sarà autorizzato dal Consiglio di sicurezza, ma non sarà composto da caschi blu, inadeguati per una missione che rischia di essere molto energica.
Ma prima di decidere l’invio di una forza alleata, occorre il sì degli Hezbollah. La Rice nel suo periplo non incontrerà rappresentanti del Partito di Dio libanese, né della Siria o dell’Iran e pertanto è improbabile che il cessate il fuoco venga annunciato al termine della conferenza di mercoledì a Roma. Tuttavia, Washington spera che proprio i colloqui in Italia possano aprire la strada a una soluzione negoziata. Il governo Usa tenterà di convincere i Paesi arabi amici, e in particolare Egitto, Giordania e Arabia Saudita, a fare pressioni su Damasco, affinché sostenga il piano di pace. E siccome il regime di Assad è il canale attraverso il quale l’Iran rifornisce di fondi e armamenti gli Hezbollah, un suo ripensamento non potrebbe essere ignorato dai leader della guerriglia. Recuperare la Siria, isolare Teheran: questo è l’obiettivo di Washington. E non è un caso che ieri l’ambasciatore di Damasco a Washington abbia invocato colloqui diretti con Bush. Washington vuole garanzie precise e per ora risponde picche. Ma i segnali sono confortanti. E Israele fa la sua parte: l’annuncio di Peretz è chiaramente funzionale agli scopi Usa. Serve a dimostrare che Bush può influenzare lo Stato ebraico.
Non è l’unica novità di una domenica molto intensa sul fronte diplomatico. Fonti citate dalla Washington Post rivelano che il governo di Gerusalemme è consapevole di non poter sradicare gli Hezbollah nel Sud del Libano. Anche quando l’ultimo razzo verrà distrutto il partito integralista sciita continuerà a essere molto popolare nelle zone del sud del Libano. Annan lo ripete da giorni e ora l’ambasciatore israeliano negli Usa Daniel Ayalon, pur senza citarlo, gli dà ragione. «Se si trasformerà in un gruppo politico noi lo accetteremo - dichiara Ayalon -. E per gruppo politico significa un partito integrato nel sistema politico libanese, ma privo di milizie armate e di arsenale bellico». Nella capitale Usa una fonte anonima del governo Bush conferma e precisa: «Continuiamo a considerare Hezbollah una forza terroristica, ma se disarma il discorso cambia». Non più solo raid, la soluzione in Libano dovrà essere politica.
marcello.

foa@ilgiornale.it

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