Israele vuole cacciare Teheran dall’Onu

Il presidente israeliano Shimon Peres ha chiesto che l’Iran sia escluso dalle Nazioni Unite e che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sia isolato completamente dalla comunità internazionale. «Una persona come Ahmadinejad, che invoca apertamente la distruzione dello Stato di Israele, non può essere membro delle Nazioni Unite», ha detto Peres, nel corso di un incontro a Gerusalemme con il vicepresidente americano Joe Biden. «Un uomo che invoca atti di terrorismo e che impicca le persone in strada non può girare quasi come un eroe culturale. Ahmadinejad deve essere isolato e non deve essere accolto nelle capitali del mondo», ha aggiunto il leader israeliano.
Nelle stesse ore in cui il presidente Peres parlava, a Teheran cresceva il mistero sulle sorti dell’ex presidente Mohammed Khatami. Un giallo politico si è creato attorno all’ex leader, vicino al movimento “verde” che nei mesi scorsi è sceso in piazza contro l’esito delle elezioni e il presidente Ahmadinejad, quando l’agenzia filo-governativa Fars ha dato notizia di un presunto provvedimento delle autorità per vietargli l’espatrio. Un annuncio smentito poco dopo da un suo collaboratore che ha parlato con la Reuters. Khatami è considerato da ambienti vicini al presidente Ahmadinejad come uno fra i responsabili delle recenti proteste.
Le vicende di politica interna iraniana e il suo programma nucleare sono al centro delle preoccupazioni della comunità internazionale. Il forte attacco di Israele contro Teheran arriva proprio mentre gli Stati Uniti stanno appoggiando un nuovo round di sanzioni contro l’Iran e il suo programma nucleare. La Repubblica islamica, che ha da poche settimane annunciato la sua capacità di arricchire l’uranio a un grado più alto rispetto al passato, continua a sostenere che le sue finalità atomiche sono legate alla produzione di energia per scopi civile. Eppure, un recente rapporto dell’Aiea, l’Agenzia internaizonale per l’energia atomica, solleva dubbi su questi obiettivi. Il viaggio in Israele del vicepresidente Joe Biden, il più importante funzionario dell’amministrazione americana in visita nel Paese dall’insediamento di Barack Obama, arriva proprio mentre molta stampa internazionale specula sulla collaborazione tra Israele e Stati Uniti sul dossier nucleare. Il governo di Benjamin Netanyahu è favorevole all’imposizione di sanzioni internazionali «dure», mentre Washington ha fatto più volte capire che le misure economiche non dovranno pesare sulla popolazione iraniana.
Una recente visita dell’ammiraglio Mike Mullen, capo di Stato maggiore americano, in Israele, sarebbe servita nell’ottica dell’amministrazione americana a scoraggiare un attacco israeliano alle installazione atomiche iraniane.
Il viaggio del vicepresidente Joe Biden in Israele doveva anche confermare che i rapporti tra Stati Uniti e Israele sono saldi. E invece proprio ieri una doccia fredda si è abbattuta sulle aspettative del vicepresidente Usa. Infatti, sulle vaghe speranze di ripresa del dialogo israelo-palestinese si è allungata l’ombra di un nuovo lotto di 1.600 alloggi, deciso dal ministero degli Interni israeliano, destinati a infoltire l’espansione degli insediamenti ebraici di Gerusalemme est - area a maggioranza araba la cui annessione a Israele non è riconosciuta dalla comunità internazionale.
Ad annunciarne il via libera è stato il ministero dell’Interno israeliano, con un provvedimento che per alcuni oppositori ha avuto il sapore della provocazione e che è stata condannata, fra gli altri, dalla Casa Bianca («una decisione non benvenuta») e dall’Autorità palestinese. E che è apparso proprio uno schiaffo al vicepresidente Usa, Joe Biden.

Il vice di Obama ha ieri sera condannato con decisione la scelta di Israele: «Per la sostanza - ha detto Biden - e il momento scelto per l’annuncio, in particolare con il varo dei colloqui indiretti, è esattamente il tipo di atto che mina la fiducia di cui ora c’è bisogno».

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