Da Istanbul a Kathmandu il nostro inviato sull'hippie trail

Il nostro giornalista ripercorre la rotta della beat generation dalla metropoli turca attraverso Iran, Aghanistan, Pakistan, India fino al Nepal

Da Istanbul a Kathmandu il nostro inviato sull'hippie trail

nostro inviato a Istanbul

Da Istanbul a Kathmandu, via terra, quarant'anni dopo. L'hippie trail, la rotta della beat generation, partiva dalla metropoli turca e attraversava Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan e India prima di arrivare in Nepal. Un flusso quasi ininterrotto dall'Europa all'Oriente, che è durato fino alla fine degli anni '70, quando la rivoluzione islamica chiuse le frontiere in Iran e l'invasione sovietica portò la guerra in Afghanistan. La strada era bloccata, e gli hippie, ormai, una specie in via di estinzione.

Quattro decenni più tardi gli hippie sono ancora materia per film nostalgici e revival, ma la via è tornata percorribile. Ed è interessante vedere quali tracce sono rimaste sul percorso. Cominciando dall'inizio, da Istanbul, bagnata dalla pioggia in questo inizio di aprile. E precisamente dal posto dove tutti iniziavano la loro avventura.

Quel posto, un caffé sulla Divan Yolu, a mezza via tra la moschea Blu e Santa Sofia, c'è ancora. Ma il “Pudding Shop” non ha più addosso il fascino di una volta, quando era un crocevia di persone in viaggio verso Oriente, spinte dal mito dell'India o da quello, forse meno spirituale, delle droghe e del sesso libero. Ora ci sono solo riproduzioni di vecchie foto alle pareti, prezzi troppo alti, un insegna al neon che ricorda come il posto sia "world famous", e un buttadentro con i baffi che cerca di convincerti in quattro-cinque lingue a prenderti una birra.

Eppure celebre il Pudding Shop lo è stato per davvero. Più che per i suoi budini, per i suoi avventori freak. E per la bacheca degli annunci dove chi cercava un compagno di viaggio per dividere le spese poteva trovarlo. Insomma, era divenuto il punto di incontro di chiunque volesse fare "l'Overland", ossia appunto il viaggio, rigorosamente via terra, verso Oriente. Al punto che qualcuno lo utilizzava come "fermo posta", ricevendo qui (sulla "solita" bacheca) le lettere spedite da casa. Possibile che di quel passato non sia rimasto segno?

Pare di sì. Anche perché, a dirla tutta, già nel '76, quindi 33 anni fa, un libro di Stampalternativa, "Andare in Oriente", sgonfiava le aspettative. Scrivendo chiaro e tondo che il vecchio Pudding Shop aveva "vissuto giorni migliori". Poco male. Le cose cambiano, e Istanbul è ancora e comunque la porta ideale per iniziare un viaggio verso Est.

L'approccio è moderato, qui. In molte moschee le turiste entrano senza nemmeno coprirsi il capo, le ragazze girano sole di sera e i bar del centro offrono internet senza fili insieme al caffé e agli alcolici. Eppure i segni del Levante saltano fuori: si contratta su tutto, e non solo nelle botteghe, e nel pomeriggio il richiamo dei muezzin riempie l'aria.

E può capitare qualche imprevisto insolito, come restare al buio in albergo per un black out che secondo il personale durerà cinque minuti e invece va avanti cinque ore. Poco male anche questo.Fuori c'è una citta in fermento, e Istanbul è solo l'inizio di un lungo viaggio.

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