In Italia le bare dei quattro alpini Oggi l’omaggio di Roma ai caduti

Le salme degli alpini caduti sono rientrate in patria. I loro commilitoni, che li hanno visti saltare per aria, hanno respinto un nuovo attacco talebano, per uscire dalla valle maledetta del Gulistan.
Le bare, avvolte nel tricolore, di Sebastiano Ville, Gianmarco Manca, Francesco Vannozzi e Marco Pedone, del 7° reggimento alpini, sono scese ieri mattina, portate a spalle, dal C130 militare partito da Herat. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sfiorato i feretri. All’aeroporto romano di Ciampino c’erano i parenti e le autorità, dal premier Silvio Berlusconi, al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al presidente della Camera, Gianfranco Fini. Lo zio di uno dei soldati uccisi, rivolgendosi a La Russa, ha detto: «Signor ministro, godetevi lo spettacolo». Il responsabile della Difesa si è limitato a rispondere che «i parenti in queste occasioni hanno diritto a qualsiasi reazione emotiva sia quella dello zio, che quelle affettuose dimostrate da altri familiari». Le esequie solenni sono fissate per questa mattina alle 10.30 alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli nella capitale.
In Afghanistan gli alpini della Taurinense sono in fase di cambio con la brigata Julia, dopo essere arrivati ad aprile. Entro la fine dell’anno sono previsti ulteriori rinforzi che porteranno il contingente a quattromila uomini. Stanno per partire anche tre elicotteri della marina, mentre i lagunari opereranno a Farah. Con l’avvicinarsi dell’inverno gli attacchi dei talebani subiscono sempre una flessione, ma il Gulistan rischia di rimanere la prima linea più «calda». Nelle tre basi nell’area sono impegnati 450 uomini, in gran parte del 7° alpini, che ha subito le perdite di sabato scorso. Il nuovo comandante del contingente, generale Marcello Bellacicco, assumerà il comando del settore Ovest ad Herat il 18 ottobre. E prima o dopo dovrà prendere l’iniziativa per riguadagnare il controllo del territorio nella valle maledetta.
Non a caso, domenica mattina, la colonna italiana, che ha perso i quattro alpini, è tornata sotto attacco. Per oltre un’ora le penne nere sono avanzate sotto il fuoco intermittente. I talebani hanno usato anche i mortai, ma i tiri erano corti o imprecisi e non si registrano feriti. Quando la colonna del 7° alpini ha ripreso la marcia, per uscire dalla maledetta valle del Gulistan, gli insorti si erano organizzati per martellarli.
Gli italiani hanno giocato d’anticipo evitando la strada lungo il torrente, dove i talebani li attendevano per nuove imboscate. La colonna ha percorso un tragitto su un tratto desertico.
«Sembrava che la montagna sparasse», racconta un alpino. Gli insorti, con un'indubbia dose di coraggio, correvano per avvicinarsi ai blindati ad una distanza di fuoco utile per colpire il convoglio. Gli alpini hanno reagito sparando e stringendo i denti per difendere se stessi e i 70 autisti afghani, dei camion civili del convoglio. Se fossero rimasti senza scorta li avrebbero sgozzati tutti. Di villaggio in villaggio gli insorti avevano preparato imboscate o trappole esplosive. Alla fine saranno stati un centinaio, ma non sono riusciti a bloccare la colonna. Gli alpini hanno chiesto l’appoggio dei caccia bombardieri, che sono scesi in volo radente per intimorire gli assalitori. Non sempre si sgancia, ma i nostri 4 Amx dispiegati ad Herat decollano senza le bombe.

Poi gli elicotteri, probabilmente americani, hanno colpito alcuni punti nevralgici delle postazioni talebane. Domenica sera, dopo giorni di battaglie, la colonna italiana è finalmente tornata a base Lavaredo, nel distretto di Bakwa.
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