I dati di aprile della produzione industriale per l’Unione europea, comunicati da Eurostat mostrano che il recupero continua, a ritmo sostenuto. Ma mostrano anche che l’Italia è, attualmente, la più dinamica. Infatti mentre a livello europeo l’aumento di aprile è di 0,5 punti, cioè su base annua del 6%, la crescita dell’Italia è di 1 punto, vale a dire, su base annua, del 12%. Solo la Germania tiene dietro all’Italia, con un +0,8%, mentre segnano una flessione sia la Francia, con una diminuzione dello 0,4 che la Spagna con una dello 0,3. È vero che queste due flessioni si possono anche spiegare statisticamente con l’alta crescita di marzo su febbraio che fu pari a 1,4 punti per la Francia e a 2,3 per la Spagna.
Ma tra la nostra crescita in accelerazione e quella francese e spagnola che sono in decelerazione, c’è una profonda differenza. La nostra è una ripresa di mercato, derivante dal recupero nel commercio estero, dovuto alla riorganizzazione delle aziende italiane, di fronte alla crisi e al deprezzamento del cambio dell’euro con il dollaro e con tutte le monete collegate al dollaro.
Invece, la ripresa spagnola era una ripresa drogata, dovuta al recupero della domanda interna generata dalla politica fiscale di deficit al 10% e oltre del Pil. Una ripresa effimera, che non può durare perché non si possono fare continuamente disavanzi pubblici, che generano nuovo debito e nuove spese per interessi passivi. Ora la Spagna di Zapatero ha dovuto modificare questa politica e adottare misure di austerità per evitare il crollo delle emissioni di debito pubblico che si andava profilando. Già in aprile il governo spagnolo aveva cominciato a stringere i freni e gli effetti negativi sulla produzione industriale si sono manifestati subito. Dopo le misure restrittive adottate a fine maggio e ai primi di giugno le difficoltà dell’economia di Madrid si accrescono. Esse sono aggravate dalla situazione critica di alcune importanti casse di risparmio del Paese che hanno crediti inesigibili con le famiglie e l’industria edilizia, e che hanno pompato soldi a debito, per sostenere l’economia, con l’aiuto del governo di Zapatero che teorizzava questa politica delle cicale come la via progressista al benessere.
Tolta la droga della finanza, l’economia spagnola ora si affloscia e non è chiaro che cosa possa accadere ora alla sua produzione industriale di fronte alla caduta della domanda interna, alle nuove tasse e alle restrizioni al credito. Per la Francia la storia è molto diversa, perché essa ha praticato un deficit del 7% non al 10% per sostenere la domanda interna, i debiti delle sue famiglie sono moderati e le sue industrie esportatrici stanno fruendo del ribasso dell’euro, per espandere le proprie vendite. Ma anche la flessione di aprile della produzione industriale della Francia si spiega con il fatto che il governo d’Oltralpe ha dovuto diminuire la droga dei deficit.
Il complesso dell’Eurozona - salvo le aree di crisi di Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda - è in recupero grazie alla ripresa delle esportazioni, che ha le due cause che ho descritto: riorganizzazione delle imprese e deprezzamento dell’euro, il cui cambio era prima artificiosamente alto. Ma l’Italia sta andando meglio della media. Questo dipende dal fatto che noi non abbiamo praticato la politica della cicala, per sostenere la domanda di consumi. Il governo non ha accettato la tesi del segretario Pd, Pierluigi Bersani, per cui bisognava imitare la Spagna. Invece Palazzo Chigi ha preso (finalmente) esempio dalle famiglie italiane che non si sono riempite di debiti. E ha preferito fare in modo che la ripresa avvenga mediante le forze del mercato, le uniche che la possono attuare in modo non effimero. E nello stesso tempo, le imprese, anche con l’aiuto del governo, tramite la cassa integrazione, hanno evitato i grandi licenziamenti e ora sono maggiormente in grado di approfittare dei vantaggi competitivi dovuti al cambio.
L’Italia, così, va meglio anche per la disoccupazione. Essa da noi è all’8,7%, mentre si trova al 10 nell’Eurozona. Ma non possiamo rallegrarci troppo, perché anche da noi il deficit, a causa dell’avversa congiuntura è salito. La Banca d’Italia comunica che il nostro debito pubblico è arrivato 1.812 miliardi, un mese fa era 1.797. Si tratta di un aumento che in parte è di natura congiunturale poiché ci sono dei mesi in cui le entrate danno un gettito molto minore di altri, in quanto non incorporano le scadenze della dichiarazione dei redditi. Quindi questa cifra non va drammatizzata, bisogna aspettare fine giugno per capire la situazione.
Inoltre, c’è ancora una flessione delle entrate dovuta al fatto che i gettiti fiscali sono un po’ sfasati rispetto alla ripresa dell’economia.
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