L’Italia detiene, tra i 15 Paesi dell’Unione europea, il primato negativo della maggiore incidenza di sommerso: il 22,2% del Pil, un dato che la colloca ben lontano da Irlanda e Austria, in cima alla classifica dei mercati europei «trasparenti» (13% e 9% rispettivamente).
È quanto emerge dai risultati di una ricerca presentata da Visa Europe, secondo cui l’«economia ombra» in Italia raggiunge quota 335 miliardi di euro, in linea con i dati medi del resto d’Europa, che registrano un ammontare complessivo di 2.200 miliardi. Secondo lo studio, tra il 2005 e il 2008 la percentuale di sommerso sul Pil era calata di 3 punti percentuali, mentre dal 2008 al 2010 si è evidenziata «una risalita dell’incidenza dell’economia nascosta sulla crescita italiana», anche per colpa della crisi e della conseguente stretta fiscale. Dalla ricerca emerge, infatti, che «le principali ragioni connesse alla diffusione di tale fenomeno sono da ricercarsi in un sistema di tassazione particolarmente sfavorevole e nel forte radicamento del crimine organizzato nel tessuto economico». L’economia sommersa è un fenomeno strettamente connesso al lavoro nero, che riguarda, in particolar modo, l’agricoltura, l’edilizia e, più in generale, tutti quei settori che prevedono l’utilizzo di stagionali o di lavoratori occasionali, compresi i servizi di assistenza alla persona svolti da stranieri presso le famiglie. Poi c’è il cosiddetto lavoro «non dichiarato»: interessa le microimprese e i piccoli esercizi che - non emettendo fattura o non rilasciando scontrino fiscale - non registrano in entrata o in uscita la maggior parte dei pagamenti in contante.
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