da Roma
Fosse stato per lui, Silvio Berlusconi avrebbe fatto come Alcide De Gasperi che per ben quattro volte su otto governi che si trovò a guidare decise di tenersi l’interim degli Esteri. Un’abitudine che negli anni s’è andata perdendo e che proprio il Cavaliere - che nel 2002 restò alla Farnesina per quasi un anno - ha nei fatti reintrodotto. A metà giugno, passato neanche un mese dal suo ritorno a Palazzo Chigi, il premier aveva infatti già incontrato Vladimir Putin, Nicolas Sarkozy, George Bush e il Papa. A Romano Prodi, per dirne una, per fare lo stesso gli ci volle quasi un anno.
Una politica estera, quella di Berlusconi, al di fuori dei formalismi e dei tempi della diplomazia tradizionale, tanto che in più d’una occasione l’apparato della Farnesina s’è trovato a «soffrire» il suo approccio confidenziale e piuttosto vivace. Qualcuno lo derubrica maliziosamente come «la politica della pacca sulla spalla», ma - spiega il vicepresidente dei deputati del Pdl Osvaldo Napoli - «è indubbio che il rapporto di familiarità che Berlusconi punta a stabilire con i suoi interlocutori stia contribuendo al ritorno dell’Italia da protagonista» sulla scena internazionale. Così con Putin, per esempio. Che segue il Cavaliere nel suo approccio easy e non si fa problemi a presentarsi a Villa Certosa dopo le elezioni italiane ma con il governo non ancora insediato. Alla faccia del protocollo, perché - spiegò appena atterrato a Olbia - la visita «era concordata già prima» e poi «Silvio mi mancava e volevo parlare con lui». E pure con Bush va in scena lo stesso copione quando l’inquilino della Casa Bianca arriva a Roma ai primi di giugno.
Un atteggiamento, ha più volte spiegato Berlusconi, che «serve a intendersi meglio». E che a differenza del quinquennio 2001-2006 può appoggiarsi a una stabilità interna che rende il Cavaliere decisamente più forte. In Europa, infatti, gli equilibri tra i grandi sono cambiati e così potrebbe accadere a novembre anche negli Stati Uniti, ma il Berlusconi che si presenta oggi sulla scena internazionale è politicamente solidissimo, sia dal punto di vista del risultato elettorale incassato ad aprile sia come prospettiva di tenuta del suo governo. Il premier lo sa bene («se sei forte a casa, puoi esserlo anche fuori», ha ripetuto in più d’una occasione ai suoi consiglieri) e anche per questo negli ultimi mesi s’è trovato in più d’una occasione a sparigliare. Lo ha fatto con il socialista Zapatero, con cui a Palazzo Chigi ha chiuso in pochi minuti la querelle con il governo spagnolo sulle quote rosa. Ma soprattutto con Bush, quando durante il G8 in Giappone non ha mancato di polemizzare con il presidente americano: «Lui non vuole il dollaro debole, ma finora il rafforzamento non c’è stato e i costi ricadono sui Paesi africani». E pure con Sarkozy - con il quale sta cercando di costruire un vero e proprio asse italo-francese - ci sono state divergenze. Sempre a Tokyo, infatti, Berlusconi - che presiederà il G8 in programma a luglio 2009 alla Maddalena - ha bocciato l’idea del presidente francese di allargare il summit degli Otto grandi a quei Paesi come l’India, la Cina, il Brasile, il Messico e il Sud Africa che sono ormai a tutti gli effetti delle potenze economiche.
La partita più importante, però, l’ha giocata nella crisi del Caucaso come mediatore tra Bush e Putin, forte proprio di quel rapporto personale su cui tanto punta il Cavaliere. E con il pieno appoggio di Sarkozy. Una partita nella quale l’Europa è riuscita ad avere un ruolo perché, spiega Benedetto Della Vedova, «a differenza degli Stati Uniti, la Russia noi ce l’abbiamo a fianco e ci fornisce materie prime ed energia». Come a dire che l’Unione europea non poteva non avere un approccio più cauto di quello americano anche se, aggiunge il deputato del Pdl, «l’obiettivo di lungo periodo deve essere quello di lavorare con gli Usa per facilitare un’evoluzione democratica sia in Russia che in Cina».
E in questa rentrée post agostana Berlusconi ha giocato d’anticipo anche sulla Libia. E - merito pure di quanto fatto in passato da Dini, D’Alema e Prodi fa sapere Gheddafi - ha chiuso lui una querelle che era in piedi ormai da una quarantina d’anni. Con seguito polemico, visto che il Colonnello fa sapere che l’Italia si è impegnata a non concedere agli Stati Uniti l’uso delle basi Nato nel caso di «aggressione» contro la Libia. Parole seguite dalla replica di Palazzo Chigi («l’accordo, com’è ovvio fa salvi tutti i precedenti impegni internazionali assunti») e dal Pd che si trova nella inusuale posizione di alfiere della causa Nato, tanto da chiedere al governo di riferire alle Camere.
Berlusconi, assicura chi l’ha sentito ieri, della polemica non s’è curato troppo. Il rapporto con gli Stati Uniti è tanto solido che dopo avere incontrato a Palazzo Chigi il vicepresidente Dick Cheney il 9 settembre, vedrà Bush non solo durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite in programma a New York tra il 22 e 27 settembre, ma anche a ottobre alla Casa Bianca per un ultimo bilaterale prima che il presidente americano passi la mano.
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