Gli italiani? Un grande popolo Ma di servitori

Caro direttore, penso che ce la possiamo fare anche noi, anzi, in tante occasioni, risultiamo anche migliori degli altri. Ripensando alla partita della Nazionale disputata contro il Belgio, ho la consapevolezza che noi italiani siamo più fantasiosi e geniali di tanti altri popoli più referenziati. Spesso ci piangiamo addosso, preferiamo criticare e sparlare degli altri; però tutte quelle volte che dobbiamo competere, tiriamo fuori il meglio di noi stessi e primeggiamo. In condizioni abitudinarie, preferiamo prendere le scorciatoie, fare poco sforzo per vivere, rendere meno del necessario. Ci vestiamo con i panni del furbetto che deve evitare la fila per fare prima degli altri. Siamo, però, fondamentalmente altruisti e lo dimostriamo con il tipo di accoglienza che facciamo spontaneamente nei confronti dei migranti. La rovina del nostro popolo sono le raccomandazioni e le biciclette con la pedalata assistita. La meritocrazia non deve essere soltanto una prerogativa del ciclista Nibali che sulle Alpi va a vincere il Giro. Deve finire il tempo di scalare le alture, senza spendere neanche una goccia di sudore.

Felice Colella

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Caro Felice, quella buonanima del Duce ebbe a dire: «Come si fa a non diventare padrone di un Paese di servitori?». Dalla caduta dell'Impero romano a l'altro ieri noi italiani siamo stati a servizio da datori di lavoro venuti da fuori. E quando ci siamo trovati padroni di noi stessi non ci è parso vero di continuare nel tran tran tipico del dipendente che cerca di ottenere il massimo vantaggio con il minimo sforzo, sempre a reclamare diritti senza andare fino in fondo sui doveri. Come i servitori, siamo fintamente ossequiosi con il padrone, almeno fino a che la paga corre a fine mese.

È vero, abbiamo i nostri santi e i nostri eroi, che di volta in volta veneriamo a patto di non essere costretti a emularli. E così facendo diventiamo spettatori delle nostre disgrazie, sulle quali piangiamo lacrime di coccodrillo. Forti di una certezza: i padroni passano, la servitù resta e si adegua. Ahimè.

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