«Italiano di m...». Non è razzismo (negro invece sì)

Dire a qualcuno «Italiano di merda» è sì un’ingiuria ma è meno grave che apostrofare un tipo dalla pelle scura come «negro di merda». Scusate l’esordio scurrile ma era l’unico modo per entrare in argomento e tentare di farsi largo nel labirinto dei distinguo che giunge dall’ultimo pronunciamento della Cassazione.
Dunque, secondo i giudici della Suprema Corte, l'espressione in questione, pur condannabile come ingiuria, non ha, a differenza dell'altra, una connotazione «razzista» dal momento che «italiano», nel comune sentire nel nostro territorio è stragrande maggioranza e classe dirigente che non dà luogo a pregiudizio corrente di inferiorità». Ecco perché la Quinta sezione penale (sentenza 11590) ha bocciato il ricorso della Procura di Trieste che chiedeva una condanna più grave per un immigrato residente a Pordenone, Onkar S., multato con 900 euro per avere ingiuriato Mauro C. dandogli appunto dell'«italiano di m...». Chiaro? Non tanto, diciamo la verità, quindi vediamo di mettere a fuoco il concetto, traducendo dal sentenziese: il termine italiano, precisa la Cassazione, accoppiato alla parola ingiuriosa, può essere letto «come individualizzazione di una persona singola nei cui confronti si ha disistima, piuttosto che come riferimento ad una identità etnica in quanto facente parte di una comunità nazionale, quella italiana, che proprio nel nostro Paese può essere correlata ad una situazione di inferiorità o suscettibile di essere discriminata». Un’espressione, e qui torniamo al via e ci fermiamo per un giro a riflettere, non equiparabile a «negro di m..» o a «sporco negro», perché quest'ultima «rivolta a persona di pelle scura integra gli estremi di ingiuria aggravata dalle finalità di discriminazione o di odio etnico». Adesso sì che tutto è più chiaro. Talmente chiaro che, visto che siamo già in Primavera e fra poco sulle spiagge dell’Adriatico caleranno, come al solito, i tedeschi, noi tutti potremo sbizzarrirci tranquillamente ad abbinare la loro nazionalità al classico simbolo dell’evacuazione senza paura di incorrere in particolari sanzioni.
Perché anche i tedeschi, curioso no?, in Germania sono stragrande maggioranza e classe dirigente. E a questo punto perché mai dovremmo tralasciare, in quest’insolita gara all’insulto impunito, gli inglesi, i finlandesi. O i cechi e gli slovacchi? Tutti, nei rispettivi Paesi sono stragrande maggioranza e classe dirigente. In più, se non andiamo errati, hanno tutti la pelle chiara. Quindi non c’è né, presumiamo ci sarà mai dopo questa sentenza, alcuna aggravante nell’insultarli liberamente solo per il passaporto che tengono in tasca. Per completezza d’informazione corre l’obbligo di aggiungere che era stato il giudice di Pace di Pordenone, nel dicembre 2008 che aveva condannato con una multa di 900 euro Onkar S. per i reati di ingiuria, percosse e minaccia nei confronti di Mauro C... E che proprio perché si trattava di una condanna senza aggravanti la Procura di Trieste si era sentita in obbligo di fare ricorso in Cassazione per ottenere che «l’italianità» fosse, come dire, salvaguardata e tutelata adeguatamente. E tenuta lontana da ingiuriosi e maleodoranti abbinamenti. Ma «gli ermellini» hanno respinto al mittente le obiezioni della Procura triestina evidenziando che «dalla sentenza impugnata non si desume che la frase ingiuriosa italiano di m.... fosse stata pronunciata consapevolmente per finalità di discriminazione, di odio nazionale razziale o di conflitto tra persone a causa della etnia, non risultando che l'imputato avesse manifestato odio e sentimenti similari connaturati da una situazione di inferiorità degli italiani». Sarà, ma noi non siamo convinti. E rimaniamo nel sospetto che i giudici della Suprema Corte si siano lasciati fuorviare da un certo buonismo di tendenza che sente solo puzza d’insulto, è il caso di dire, solo quando l’insulto può, anche solo lontanamente, venire ricondotto ad un retropensiero di razzismo e intolleranza etnica. Eppure, scusate se insistiamo, quella cosa là, quella che puzza, dovrebbe essere uguale per tutti. Bianchi o neri, italiani o tedeschi. E procedere all’imbrattamento della nazionalità con la medesima cosa, sempre quella cosa là, dovrebbe venir considerato ugualmente brutto. E ugualmente punibile. A prescindere dal colore. Della pelle, naturalmente. Gli studiosi, ebbene sì ci sono anche gli studiosi dell’insulto, o meglio gli studiosi comportamentali, hanno individuato 14 categorie di insulti.

Tra i più diffusi ci sono maiale, stupido ma, sorprendentemente, anche ciccione. Ecco, «italiano ciccione» suona meglio, fa sentire in colpa, forse, ma eviterebbe alla Cassazione di cercare in pelo nell’uovo. E farci andare di traverso anche la Pasqua.

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