Italiano, mezza età, diplomato: ecco l’identikit del nuovo povero

Presentato il Rapporto Caritas sugli indigenti della diocesi. Nella «zona grigia» finiscono anche gli insospettabili: giovani, laureati e molte donne

Li chiamano «equilibristi». Costretti a camminare sul filo dell’indigenza, e quando precipitano rischiano di non trovare alcuna rete di protezione. Il VI Rapporto Caritas sulla povertà nella diocesi di Milano getta nuova luce sulle situazioni «ai margini». Una zona grigia che va allargandosi anche ai cosiddetti «insospettabili», ovvero famiglie italiane, donne sole con figli a carico, anziani. Basta poco, oggi, per scoprirsi poveri: indebitamento eccessivo, un investimento sbagliato, un mutuo sconveniente.
Chi bussa agli sportelli
L’indagine fa riferimento a un campione di 15mila individui che nel 2006 si è rivolto ai 63 centri d’ascolto Caritas. L’universo è affidabile perché rappresenta le province di Milano, Varese e Lecco: in pratica 5 milioni di lombardi. È vero che il 72,1% delle persone in difficoltà è costituito da stranieri (per lo più regolari), ma che gli italiani siano in aumento lo è altrettanto. Rispetto alla rilevazione del luglio scorso, che si riferiva al semestre aprile-settembre 2006 per l’intera regione, ora la quota ha raggiunto il 27,9% (+3,2). La metà dei bisognosi è nel pieno dell’età lavorativa, tra i 25 e i 54 anni. Sempre di più le donne, il 69%, specie se immigrate. Il povero, come si tende a credere, non è più nemmeno solo: il 58% vive infatti coi familiari, uno su quattro con conoscenti. Allo stesso modo aumenta il livello di istruzione. Sono in possesso di un diploma di media superiore il 31% degli stranieri e il 15% degli italiani. Addirittura uno su dieci è laureato tra gli stranieri, la metà circa tra gli italiani.
Precarietà vs disoccupazione Ancora una volta, il limite che separa dall’emarginazione è la condizione occupazionale. Il 60% dei richiedenti assistenza è disoccupato, spesso di breve periodo ma incapace a reinserirsi, oppure a «riciclarsi» nel caso degli uomini di mezza età. Resta lo zoccolo duro dei disoccupati «cronici», attestati al 17,4%.


I bisogni

Ci si rivolge ai centri d’ascolto soprattutto per motivi legati allo stato lavorativo (55%), da cui deriva l’esigenza di disponibilità economiche (32,4%). Viaggiano su binari paralleli le problematiche connesse allo status di cittadino straniero e quelle abitative (15%). In totale, nel 2006, sono stati catalogati 21.560 bisogni diffusi.
Le urgenze

Dai bisogni all’esplicita richiesta d’aiuto il passo è breve. Un lavoro a tempo pieno o part time, mentre cresce la domanda di beni materiali e servizi: alimentari, buoni mensa, vestiario, prodotti per neonati, sostegno psicologico e orientamento nelle scelte importanti.
Nuove fragilità

La maggioranza dei centri d’ascolto ha riscontrato casi di persone «strozzate» da circostanze debitorie, più o meno gravi. La costante però è l’incapacità di gestione economica, i costi elevati nel mantenimento della casa tra affitti e utenze varie, mutui vertiginosi. L’analisi di don Roberto Davanzo, direttore Caritas ambrosiana: «I numeri dimostrano che la povertà non può più identificarsi con forme di clandestinità. Gli “equilibristi” sono anche membri di famiglie in seguito alla rottura dei legami, i malati, chi perde il lavoro a 45 anni, gli anziani».

Aggiunge il sociologo dell’Università Cattolica, Eugenio Zucchetti: «In città il degrado tende a sfuggire dal controllo, pensiamo ai quartieri a classi miste. Con 840 euro al mese, il circolo vizioso del credito al consumo e l’incapacità di risparmiare denaro diventano spie: si rincorrono stili di vita ormai a stento sostenibili».

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