Italo critica il legittimo impedimento ma non per sé

nostro inviato a Bari

Italo Bocchino inciampa in un «legittimo impedimento» fai-da-te, dopo aver criticato quello «vero», e per questo finisce bacchettato da un giudice del tribunale di Bari. Il falco del Fli, già editore del quotidiano «Roma», lo scorso 24 febbraio ha visto concludersi a suo sfavore una vecchia causa di lavoro. A intentarla era stato Maurizio Decollanz, giornalista che collaborava nella redazione barese del quotidiano (chiusa pochi anni dopo) fino al suo licenziamento nel 1998. Licenziamento «illegittimo», come ha stabilito il mese scorso il giudice barese Simonetta Rubino. Ma la sentenza che ha riconosciuto le ragioni di Decollanz rimarca altri aspetti al di là del merito della causa in discussione, e finisce per stigmatizzare in modo piuttosto esplicito il comportamento processuale di Bocchino, che all’epoca degli eventi era rappresentante legale della società editrice del quotidiano (ri)fondato da Pinuccio Tatarella. La giudice Rubino, infatti, rimarca come il capogruppo di Futuro e libertà abbia scelto di non chiarire i motivi dell’allontanamento del giornalista non presentandosi alle udienze, e rifugiandosi – nelle quattro occasioni in cui era stato convocato – dietro una sorta di «legittimo impedimento» ad personam, ossia trasferendo il principio alla base dell’istituto giuridico dal diritto processuale penale, unica sede in cui è previsto, a una causa di lavoro. Nella sentenza ecco dunque che emergono «presunti impegni parlamentari» accampati da Bocchino per giustificare la propria assenza, che secondo il giudice però costituiscono un argomento ben poco convincente per disertare l’aula del tribunale barese. Intanto perché «il generico riferimento alla qualità di parlamentare non esclude – scrive Simonetta Rubino – la necessità di presentarsi dinanzi al magistrato del lavoro». E poi, come rimarca ancora proprio il magistrato, perché «non esiste nel processo civile una norma paragonabile all’articolo 486 del codice di procedura penale», ossia la norma che disciplina l’impedimento a comparire dell’imputato o del difensore.

Insomma, il fedelissimo finiano, che proprio a proposito del varo del legittimo impedimento per premier e ministri non aveva perso occasione di polemizzare con il governo in più occasioni, ha girato alla larga dal suo processo, per una banale causa di lavoro, invocando proprio il suo impegno d’Aula.

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