Ivan Bogdanov, 29 anni, testa rasata, i pensieri anche. Un primitivo, come se ne vedono abitualmente negli stadi (anche italiani). Un cavernicolo, ma spettacolare, per via della stazza -un peso massimo- e dei funambolici tatuaggi, fra cui quello di una bomba ananas sul pettorale destro. Un sottosviluppato inferocito, esaltato dalla birra e dalla fragorosa impunità con cui lui e la sua banda di hooligans balcanici hanno potuto tenere Genova sotto scacco e farla da padroni allo stadio scassando, tagliando, affumicando. Un vandalo che sembra uscito da uno di quei fumetti giapponesi dove i cattivi sono proprio come lui: grossi, massicci, tatuati, la testa tonda e gli occhi porcini. Un soprannome, per lui che è il capo riconosciuto degli 'Ultra Boys', che sembra inventato: 'La Bestia'. Professione: nessuna. Ovvero: capo tifoso, che come sanno tutti i tifosi può essere un mestiere regolarmente (anche se sottobanco) retribuito dalle società cosiddette sportive. Perché uno come 'la Bestia' serve. Tiene su di giri 'i ragazzi', fa colore, intimorisce gli avversari, e se c'è da fare a sberle, per riscaldare l'ambiente, non si tira indietro. Alla 'Crvena Zvezda', la 'Stella Rossa' di Belgrado, Ivan è un mito. Anche in Tribunale, dove la sua fedina penale racconta di una vita spericolata passata tra pestaggi, risse, lesioni, aggressioni a pubblico ufficiale e nuvole di marijuana. Uno tosto come Uros Misic, altro caporione della 'Stella Rossa'; uno che ad aprile, dopo aver riconosciuto un poliziotto anche se era in borghese cercò di fargli mangiare un bengala acceso. Zeljko Raznjatovic, detto 'Arkan', capo tifoso e poi capobanda ( armata) durante la guerra di Bosnia, poi morto di pistola, ne aveva arruolati a centinaia. Grossi, cattivi, vestiti di nero, sanguinari. Sembravano la Gestapo. Ivan Bogdanov -grande, grosso e ciula, come dicono a Milano di uno un po' tontolone- l'hanno beccato per via di un tatuaggio molto particolare che si è fatto fare tra il polso e il gomito destro: quattro numeri, una data: 1389, annus horribilis per i serbi, ma anche data fondante di un nazionalismo che da allora gli ha portato solo lutti. Milletrecentoottantanove, ovvero la battaglia della Piana dei Merli, giù in Kosovo, dove i serbi vennero sonoramente battuti dai turchi edove i discendenti dei turchi -pochissimi questi, ma preponderanti gli slavi islamizzati- sono tornati a suonarle ai serbi pochi anni fa, conquistandosi con la forza un territorio che Belgrado reclama ancora, inutilmente, come suo. L'uomo simbolo della notte di guerriglia genovese, dentro e fuori lo stadio, è uno di quei nostalgici nazionalisti su cui molto contavano uomini come Slobodan Milosevic, Ratko Mladic, Radovan Karazdic (un presidente della Repubblica, un generale, un poeta andato a male): il triumvirato che affogò (ma anche i croati e i i bosniaci fecero la loro parte) l'ex Jugoslavia nel sangue. Maglietta nera su cui biancheggia il teschio con le tibie incrociate dei pirati, brache nere, passamontagna nero, pensieri neri, Ivan detto 'la Bestia' pensa di dominare il mondo. Visto lassù, con i suoi tatuaggi minacciosi, le dita medie rivolte al mondo intero, l'aria di sfida e i muscoli in tumulto, Ivan Bogdanov sembra un dio della guerra (da stadio). E così, nella sua immensa cazzaraggine, ci sarebbe piaciuto ricordarlo. Un cretino, ma leggendario. E invece eccola lì, l'immagine che fa piazza pulita di una leggenda ancora in fasce e avvilisce i suoi fans che su Facebook già scrivono 'siamo orgogliosi di te'; ecco l'immagine che distrugge una potenziale carriera da ras della Vojvodina e della Pannonia.
Il flash è quella di Ivan, detto 'la Bestia', rannicchiato come un topo di campagna nel vano dei bagagli del bus che avrebbe dovuto riportarlo a casa. E' lì che alle tre del mattino lo acchiappano per le orecchie trasferendolo nell'unico posto che ai tipi come Ivan si confà: il carcere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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