«Per Iveco prossime sfide Cina e Brasile»

Pierluigi Bonora

nostro inviato a Torino

«Chi fa il proprio dovere e soprattutto lo fa bene viene sempre apprezzato, indipendentemente dal capo che ha sopra». Paolo Monferino, 59 anni, dal 1973 nel Gruppo Fiat, è il più «longevo» tra gli attuali dirigenti di prima fascia, ovvero i responsabili delle varie divisioni del Lingotto. In sostanza, Monferino non è stato travolto dallo tsunami seguito all'arrivo al Lingotto di Sergio Marchionne. Anzi, l'ingegnere novarese è diventato una delle pedine fondamentali nel nuovo organigramma definito dal numero uno del gruppo. Dal '73 alla Fiat, dove ha ricoperto posizioni di primo piano (tra cui quella di direttore centrale), prima di essere nominato nel marzo 2005 amministratore delegato di Iveco, ha guidato dagli Stati Uniti la svolta di Cnh. Ora, 33 anni dopo il suo ingresso in Fiat, al mosaico di incarichi ricoperti, manca solo quello di responsabile dell'Auto. «Io a Mirafiori? Proprio no. In Iveco c'è ancora molto da fare», risponde alle voci che lo vedrebbero nella rosa dei possibili ad di Fiat Auto, nel caso Marchionne dovesse abdicare. Monferino, comunque, un ruolo di peso nell'auto l'ha ottenuto. Quello di membro del board Ferrari.
«È un riconoscimento alla mia passione per il Cavallino e le vetture in genere, nulla di più», spiega. In questa intervista al Giornale, che coincide con il lancio mondiale della nuova gamma Daily, l'ad di Iveco delinea le strategie della divisione.
Ingegner Monferino, si sente il manager «ristrutturatore» di Fiat Group?
«No, non parliamo di ristrutturatore, ma di uno dei tanti dirigenti di Fiat Group che viene utilizzato di volta in volta qui o là. Semplicemente sono stato chiamato in Cnh perché, ritengo, ero la persona con la maggiore esperienza maturata nel settore dei trattori. E all'Iveco in quanto, dopo qualche anno all'estero, era giusto che tornassi in Italia».
Il primo trimestre del 2006 ha visto Iveco crescere molto nell'Europa Occidentale (+3,4%), ma perdere terreno nel resto del mondo.
«Oggi Iveco è sostanzialmente una grande azienda europea, mercato che conta per circa il 85% del fatturato. Il resto del giro d'affari riguarda l'Australia, il Sud America e un po' l'Asia, sostanzialmente la Cina».
Dove soffrite di più fuori dall'Europa?
«I problemi riguardano il Sud America, in particolare il mercato brasiliano».
Eppure in Brasile Fiat Auto corre...
«È vero. Iveco, per tradizione, non ha mai avuto una grandissima presenza in Sud America. Ora siamo impegnati a ricostruire, con un po' di fatica, la nostra posizione attraverso una migliore copertura dei segmenti. In Brasile, Iveco è presente soprattutto con mezzi leggeri, ma non con i camion medi e pesanti che rappresentano la richiesta maggiore».
Il miglioramento, nei primi tre mesi, del risultato della gestione ordinaria (+22 milioni di euro) è dovuto essenzialmente alle efficienze sui costi che siete riusciti a ottenere?
«Le efficienze raggiunte consentono di mantenere al massimo livello possibile la competitività dell'azienda. In questo senso cerchiamo di sfruttare la presenza di Iveco nei Paesi a basso costo anche per cercare l'approvvigionamento di parte dei componenti, tutti elementi di qualità elevata che vengono offerti a prezzi molto bassi».
A proposito di Paesi «low cost», in Cina sta per nascere una sorta di Iveco 2...
«La Cina è una delle nostre aree di grande sviluppo: Iveco vi è presente da tempo, ma forse non è riuscita a sfruttare tutte le potenzialità. In questo momento siamo in Cina solo con il “leggero” Daily. Per poter avere un ruolo significativo è necessario proporre anche camion medi e pesanti. Sotto la Muraglia lavoriamo con un partner di rilievo assoluto come Saic, con cui svilupperemo una presenza nei camion pesanti. Con l'attuale partner Nac, invece, forse amplieremo il business nei mezzi leggeri e medi».
Il piano di ristrutturazione di Fiat Group prevedeva una serie di tagli all'estero, in particolare per Cnh e Iveco...
«Per Iveco non ci sono sostanziali modifiche della nostra capacità industriale. I volumi produttivi attuali sono in grado di mantenere a un buon livello di operatività i nostri impianti in Europa».
Arriverà una joint venture con un europeo?
«Da presidente dell'Acea Camion posso cominciare a conoscere i concorrenti europei. Per ora, comunque, non c'è nulla allo studio».


E gli accordi stipulati da Marchionne con l'indiana Tata e la russa Severstal avranno ricadute anche su Iveco?
«Non ci sono sviluppi particolari. Il nostro impegno in Cina sta assorbendo moltissime risorse. Una volta avviato cominceremo a guardare anche in altre direzioni».

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