Il «j’accuse» di Montezemolo irrita la stampa filo-Unione

Non appena Romano Prodi, disperato com’era per lo stato già comatoso del suo governo, aggravatosi adesso con i risultati delle elezioni amministrative, ha lanciato l’allarme della «salita» di Luca Cordero di Montezemolo alla politica, i giornali che fiancheggiano ancora il presidente del Consiglio si sono messi all’opera per fronteggiare la sgradita incursione del presidente della Confindustria negli affari ch’egli considera la prima azienda italiana, rigorosamente pubblica. Ne farebbero parte i 180mila e rotti tra parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e via dicendo, eletti o nominati, visto che a sceglierli sono più spesso i partiti che gli elettori, non per governare, legiferare, amministrare e controllare ma solo per costare alla collettività qualcosa come ottomila miliardi delle vecchie lire.
È subito partito dai sostenitori di Prodi un processo alle intenzioni dell’avversario di turno, anziché contestare il merito delle critiche di Montezemolo al governo o rimproverargli una certa complicità, come ha fatto invece Silvio Berlusconi rinfacciandogli giustamente il credito accordato all’Unione nelle elezioni politiche dell’anno scorso, poi nel referendum contro la riforma costituzionale del centrodestra e infine nel concepimento della legge finanziaria del 2007. Le reazioni dei prodiani hanno prodotto, fra l’altro, una rappresentazione caricaturale della presunta scalata di Montezemolo a Palazzo Chigi.
La solita Repubblica, per esempio, gli ha attribuito con l’altrettanto solito giochino del totoministri la capacità, la voglia, la tentazione - chiamatela come volete - di «prenotare» la carica di ministro dell’industria per l’amministratore delegato della sua Fiat. O di prenotare il Viminale per Gianni Letta come «garanzia di rapporti non ostili» con Berlusconi, insinuando così che il Cavaliere abbia problemi con polizia e dintorni. O di prenotare i trasporti per un altro uomo di provenienza confindustriale come Innocenzo Cipolletta «per aprire i grandi cantieri di LCdM», cioè delle società vecchie e nuove di Montezemolo. O di prenotare il posto di portavoce del governo per il direttore del Tg5 Carlo Rossella, «compagno di zingarate di Luca e Della Valle», spero non destinato alla mestizia e agli infortuni notturni di Silvio Sircana, portavoce del governo attuale.
Il discredito della politica è tanto, come ha appena scritto il buon Angelo Panebianco, deluso di tutti e di tutto, forse anche del suo Corriere, già sponsor elettorale di Prodi.

Il discredito della magistratura non è inferiore, anche se molti faticano a dirlo per paura delle manette. Ma occorre riconoscere che è notevole anche il discredito di un certo giornalismo supponente e moralistico. Il cui appoggio comunque non basterà a Prodi per evitare la fine che merita.

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