Cultura e Spettacoli

James Bond va negli Usa e contende alla Spectre Una cascata di diamanti

In edicola da oggi con «il Giornale» a 5,90 euro il terzo libro della serie ideata da Ian Fleming e dedicata alle avventure dell’agente segreto britannico più famoso del mondo

Maurizio Cabona

«Perché M teme tanto questa missione? Non è oltrecortina. Più o meno l’America è un paese civile» dice James Bond in Una cascata di diamanti, da oggi in edicola con il Giornale a 5,90 euro.
Scritto nel 1955, tradotto da Enrico Cicogna nel 1962, questo è il romanzo di Ian Fleming dove più traspare la prima consapevolezza del diplomatico e dell’agente segreto (che Fleming era stato e probabilmente continuava a essere): ovvero che l’alleato di oggi è il nemico di domani.
Nel 1956 della crisi di Suez, Parigi avrebbe tratto le sue conseguenze dal dissidio nell’ambito della Nato sul Canale: mai più con Washington. Anche Londra ne avrebbe tratto le conseguenze, però in senso opposto: mai più contro Washington. Il presente iracheno ha un cuore antico.
Chi conosca Una cascata di diamanti solo dal film di Guy Hamilton, percepisce un clima diverso. Nel 1971 infatti la crisi di Suez pareva dimenticata. Gli Stati Uniti erano impantanati nella guerriglia nel Vietnam e la Gran Bretagna nella guerriglia nell’Ulster, ma entrambe le potenze avevano un nemico, l’Unione Sovietica, che la propaganda occidentale presentava più temibile di quel che fosse.
Il film è così permeato della logica della guerra fredda e le rivalità fra alleati vi si stemperano. Del resto la serie 007, con i suoi eventi più o meno fantasiosi, distraeva il pubblico dagli eventi reali. E oggi non è cambiato nulla.
Se si leggono i testi dei «bondologi», se ne ricava non il contesto generale in cui uscivano libri e film, ma solo dettagli e curiosità. Una cascata di diamanti - apprendiamo per esempio dagli specialisti - è il quarto romanzo e il settimo film della serie, importante soprattutto per il ritorno di Sean Connery nel ruolo di Bond, reso necessario dal calo degli incassi.
Saltzman e Broccoli - i produttori - dovettero aprire i cordoni della borsa. Dopo aver pensato ad ingaggiare l’Adam West dei telefilm di Batman e John Gavin, si adeguarono a pagare subito un milione e duecentocinquantamila dollari (di allora) a Connery, più una quota degli incassi per altri due milioni di dollari.
A film finito, Connery comunque non nasconderà la sua delusione e devolverà la cifra allo Scottish International Education Trust, fondazione da lui stesso promossa per incoraggiare giovani di tutto il mondo a studiare in Scozia.
Più interessante è la genealogia del romanzo. La sua matrice è una serie di articoli di Fleming per il Sunday Times sul contrabbando dei diamanti nella Sierra Leone. Alcuni erano stati censurati perché rivelavano retroscena di una competizione economica dove Londra (dove passava il 90% del mercato mondiale di pietre preziose) vedeva insediata la sua egemonia a opera della malavita organizzata americana.
Tanto organizzata da agire senza apprezzabili intralci del governo federale. «M ha un salutare rispetto - continua infatti la tagliente, anche se prudente, descrizione di Fleming, che doveva tener conto di avere un pubblico anche americano - per le gang americane. Per quelle grosse, s’intende. (...) M non ha mai pensato che un giorno o l’altro dovessimo avere a che fare con loro. Ha già abbastanza grane da risolvere anche senza gli americani».
E ancora: «Ti rendi conto che il gioco d’azzardo è l’industria più grande di tutta l’America? Più grande di quella dell’acciaio e delle auto? È naturale che loro facciano tutto il possibile perché ogni cosa proceda senza intoppi. Leggi il rapporto Kefauver, se non mi credi. E ora c’è la faccenda dei diamanti.

Sei milioni di dollari all’anno in buona moneta e puoi scommettere qualunque cosa che è ben difesa».

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