“James Dean” Vandenbroucke La triste fine dell’altro Pantani

Bello, bravo, forte e dotato come pochi altri: aveva tutto per poter essere un uomo invidiato, invece ci troviamo a doverlo rimpiangere. Frank Vandenbroucke, talento sprecato del ciclismo belga e mondiale è morto l’altra sera, in Senegal, dove si trovava per una vacanza. Le ragioni del decesso? Probabilmente un’embolia polmonare. «Quando ho saputo del suo tentato suicidio di due anni fa - ha detto Alain Deloeil, il suo ex direttore sportivo - mi sono detto “finirà come Marco Pantani...”. Negli ultimi tempi l'avevo trovato bene, ma una delle caratteristiche più importanti per un campione è la solidità mentale, e in questo lui ha sempre avuto problemi».
Problemi Frank Vandenbroucke ne ha sempre avuti e ne ha sempre creati. Per gli sportivi belgi era uno degli sportivi più amati, quanto per noi Valentino Rossi. Per gli sportivi belgi è stato il James Dean del ciclismo. La stampa ha invece parlato di lui come di una «stella maledetta». «Poteva diventare più grande di Eddy Merckx ­ ha scritto la Dernière Heure - ma è finito in uno scenario alla Pantani». Frank Vandenbroucke era nato a Mouscron il 6 novembre 1974. All'inizio della carriera era considerato dagli osservatori come uno dei ciclisti di maggior talento della sua generazione. Ma dopo aver vinto la Liegi-Bastogne-Liegi nel 1999, entrò in una spirale negativa di doping (nel 2002 ha subito anche l’umiliazione della prigione per detenzione di prodotti dopanti, ndr).
Vincitore di 55 gare in una carriera brillante ma tormentata, nel 2005 aveva tentato il suicidio, dopo la separazione dalla moglie e dalla figlia. «Sono andato a cercare la bottiglia (di vino) più cara della mia cantina, un Chateau Petrus 1961, e ho brindato alla mia vita. Avevo chiesto consiglio a un medico: con l'insulina doveva essere finita», scriverà poi nella sua autobiografia, Io non sono Dio, pubblicata un anno fa. Altre volte ha cercato di farla finita, l'ultima a giugno del 2008. Di recente aveva ammesso che «andava meglio», senza però poter affermare di «esserne uscito».
Una vita sopra le righe, maledetta, piena di tormenti e interrogativi. Lo sport fa male? Quanti ragazzi non sanno vivere se non sotto le luci della ribalta? Vittorie, soldi, donne, bella vita e poi doping, droga, vita sempre border-line. Morire a 34 anni, in una camera d’albergo, dopo anni di tormenti, come il nostro povero Marco Pantani, come José Maria Jimenez o Valentino Fois, tanto per fare solo alcuni nomi. Troppi per essere solo un caso e non un inquietante fatto statistico. Secondo l’emittente belga Radio 1, accanto al corpo senza vita del corridore sono stati trovati tranquillanti ed insulina. Fabio Polazzi, amico e compagno di squadra, ha raccontato invece alla televisione belga Rtbf di essere giunto in Senegal con Frank domenica alle 17. Secondo Polazzi la giovane donna che accompagnava il corridore ha spiegato alla polizia che Frank era svenuto in seguito ad un malore. Polazzi ha aggiunto che l’amico è stato trovato morto lunedì verso le 15.30 nell'albergo “Maison Bleue” e di averlo visto per l’ultima volta attorno alla mezzanotte di domenica.
Polazzi è stato avvertito della morte del belga dalla polizia nel tardo pomeriggio dell’altro ieri. «Quando è arrivato, alle due del mattino, era ubriaco - ha detto un inserviente che ha preferito mantenere l'anonimato -. Era insieme a una senegalese.

Lui si era rifiutato di fornire le sue generalità e i documenti, la donna che lo accompagnava si era registrata al suo posto. Gli abbiamo servito una birra». Nei prossimi giorni sarà l'autopsia a fare chiarezza, anche se le ragioni dell’epilogo di questa storia triste e amara sono già oggi fin troppo chiare.

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