JAMES SALLIS Il crimine è «on the road»

Driver, il protagonista del suo ultimo «noir», vive viaggiando in auto. Fra cadaveri, dollari che scottano e corse folli sulle note del blues

La vita di Driver è sempre stata al massimo, lo capiamo fin dalle prime pagine di Drive, l’ultimo incredibile noir di James Sallis pubblicato in Italia da Giano Editore. Una novella di sole 159 pagine di formato tascabile con una copertina che ci mostra solo una freccia (o una saetta) che sui ricalchi in rosso e bianco spicca su un fondo nerissimo. In questa cover pulp è un po’ racchiuso tutto il senso del ritmo e della velocità di una storia serrata e mozzafiato che ha per protagonista un uomo abituato a guidare all’impazzata per tutta la sua esistenza.
Driver, potremmo dire che è stato allenato alla supervelocità e ai pericoli quotidiani non solo dal suo mestiere di stunt-driver hollywoodiano, ma anche dalle numerose rapine in cui ha fatto da autista a banditi non sempre all’altezza delle loro aspirazioni criminali. Il nostro eroe ha corso molto fin dalla sua infanzia e nemmeno l’adolescenza gli ha dato il tempo per cullarsi fra giochi e sogni. Sua madre ha letteralmente fatto a fette suo padre davanti ai suoi occhi, armata di un coltello da pane e di una mannaia da macellaio. Il piccolo Driver assiste alla scena senza smettere di mangiare il suo sandwich mentre sua mamma, «come un ninja in grembiule rosso a quadrettoni», colpisce selvaggiamente papà. In quell’unico gesto violento ed estremo quella donna taciturna (che verrà per sempre internata in un manicomio) ha concentrato la forza di tutta una vita passata a subire angherie. E nemmeno l’essere adottato dalla pacifica famiglia Smith di Tucson darà serenità al nostro Driver che, pur ringraziando i suoi genitori adottivi di tutto ciò che hanno fatto per lui, aspetta solo il giorno del suo sedicesimo compleanno per scappare con la loro Ford Galaxie. Da quel momento sarà sempre in strada e da solo.
Sintomaticamente, Drive è dedicato nelle prime pagine a tre grandi del noir americano, ovvero Ed MacBain, Donald Westlake e Lawrence Block, e il protagonista di questa storia quando ha la possibilità di leggere qualche pulp non si fa mancare i libri di Richard Stark, George Pelecanos, John Shannon e Gary Phillips. Tutte opere in sintonia con ciò che Sallis ci racconta, così come non vanno trascurati anche numi tutelari quali Jim Thompson, David Goodis e Chester Himes, ai quali lo scrittore americano aveva dedicato il bellissimo saggio Vite difficili. Dopo averci riraccontato la New Orleans degli anni Sessanta e Settanta attraverso le storie del detective di colore Lew Griffin (La mosca dalle gambe lunghe, La falena, Il calabrone nero), il blues man, narratore e saggista James Sallis ha deciso di portarci per mano fra Arizona e California, dove si muove il suo protagonista. Sallis è convinto come Edmund Wilson che «il compito del romanzo americano a differenza del suo corrispettivo inglese non si debba occupare di enigmi e relative soluzioni, ma debba esprimere un profondo male di vivere che punta a trasmettere al lettore un senso di intrigo e corruzione - o malvagità se preferite - che spunta fuori da ogni parte».
Fin dalle prime pagine del romanzo la situazione è ad alto tasso di adrenalina. Driver si trova ferito e in compagnia di tre cadaveri in un motel di Phoenix. Ha con sé una borsa contenente più di duecentomila dollari, ma sono soldi che scottano. Inizia così un gioco fatto di agguati e regolamenti di conti fra lui e i killer che sono sulle sue tracce. Solo che è Driver ha dettare le regole. Lui che non ha mai amato impugnare un’arma ma che ora come una belva ferita si trasforma in giustiziere. Lui che di solito è di poche parole e si fa gli affari suoi ma che ora non può non chiedere il conto con rabbia ai pericolosissimi e spietati Nino e Bernie Rose. Sallis sembra aver imparato a memoria ciò che l’editor Marcel Duhamel suggerì a Chester Himes allorché gli chiese un nuovo titolo da inserire nella prestigiosa Série Noir Gallimard: «Trovati un’idea. Poi attacca con l’azione: qualcuno che fa qualcosa, che so, un uomo che allunga una mano e apre una porta, la luce gli batte negli occhi, l’uomo si volta guarda su e giù nel corridoio. Azione, sempre azione in dettaglio. Immagini. Come al cinema. Scene sempre visibili. Niente flussi di coscienza. Non ce ne frega un accidente di chi pensa cosa, ma soltanto le loro azioni. Sempre azione. Sbattitene, se la cosa non ha senso. Questo si vedrà alla fine».
E se è ancora una volta il blues a sembrarci il sottofondo perfetto per le vicende cupe e malinconiche raccontate da Sallis, passando alle suggestioni cinematografiche la nostra mente non può che andare a pellicole di forte impatto come Getaway di Sam Peckinpah, Una vita al massimo di Tony Scott, Driver, l’imprendibile di Walter Hill o Strade violente di Michael Mann. Film che hanno per protagonisti ribelli come il nostro Driver. E proprio Hollywood sembra aver pensato già a un posto d’onore speciale per questo stunt-driver capace di non sbagliare una scena sul set (anche quando magari le pellicole da lui interpretate sono di second’ordine o non verranno mai distribuite al cinema) e durante le rapine in cui è al volante.

A dargli un volto sarà infatti Hugh Jackman (celebre per aver dato il volto a Wolverine nella saga di X-Men). Ce lo immaginiamo già mentre nei panni di Driver ci guarda dallo schermo e dice «Io guido. Faccio solo quello. Nient’altro».

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