Jim Carrey inciampa tra smorfie e volgarità

Ma non era diventato un grande attore il pompatissimo Jim Carrey? Baciato dagli osanna della critica per il sopravvalutato The Truman Show, aveva fatto (quasi) dimenticare le sguaiate macchiette del doppio, disastroso Ace Ventura. Anche se da allora, e sono passati dieci anni, ha alternato film passabili (Io, me & Irene; Lemony Snicket) a boiate cosmiche (Una settimana da Dio; Se mi lasci ti cancello). In questo ambizioso, petulante e barbosissimo Yes Man è tornato il peggior Jim Carrey della carriera. Peccato, perché quando rinuncia alle smorfie, e qui lo fa davvero raramente, riesce perfino a essere simpatico. Oltre che a sembrar bravo.
La storiella, che l’emergente Peyton Reed (però il suo precedente Ti odio, ti lascio, ti..., nonostante il pessimo titolo tradotto era molto più carino e spiritoso) è tratto dal romanzo di tale Danny Wallace. Protagonista lo scorbutico bancario Carl Allen (Carrey, ovviamente), i cui perentori no sono diventati proverbiali sia tra gli amici sia tra i clienti. Un invito a cena? No. Un prestito, con tutte le garanzie? Sempre no. Non c’è da stupirsi se la bella moglie Stephanie l’abbia piantato: lui la sera preferisce starsene sdraiato sul divano a fare indigestione di dvd. Finché un amico spuntato dal passato, lo convince ad assistere a un seminario del guru della comunicazione Terrence (il settantenne un dì fascinoso Terence Stamp), che insegna agli adepti in ebollizione a dire sempre sì. E la vita dell’impiegatino cambia da così a così, grazie anche all’incontro con la disinvolta scooterista dalle mille risorse Allison (l’anonima Zooey Deschanel).

Qualcuno che ride in sala lo si trova sempre, così ci sarà di sicuro chi si terrà la pancia davanti alla raggrinzita vicina di pianerottolo del fessacchiotto, Fionnula Flanagan, coetanea e in un certo senso emula della scostumata Irina Palm, specializzata però nell’arte cara a Monica Lewinsky. Che pena, ragazzi.

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