Joan Baez: «Dylan? Per me non esiste io canto il vero folk»

Sempre sulla breccia l’artista pubblica un nuovo cd. Domani parte il tour da Padova

Antonio Lodetti

da Milano

Il primo album lo incide nella sala da ballo dell’Hotel Manhattan Towers di New York, contiene classici del folk americano come Silver Dagger ma anche brani anomali per l’epoca come El preso numero nueve; risultato? 140 settimane in classifica e la nascita della regina (o della pasionaria) del folk. Memorabili quegli anni per Joan Baez, che travolge col suo successo i blasonati colleghi uomini armati di chitarra. Poi arriva un certo Dylan («la voce incontra il poeta», scriverà il critico Robert Shelton) che la fa innamorare, che le strappa la fama di mano col suo genio beffardo. Joan incassa, ma è abituata a ben altre battaglie, quelle per i diritti civili, per la libertà, e continua a battere i palcoscenici di tutto il mondo trasformando - con la semplicità - la cronaca in mito e viceversa. Lo fa ancora oggi, con l’impegno di sempre, voce ancora squillante nello spaziare dai toni bassi ai registri da soprano, pubblicando l’album dal vivo Bowery Songs e girando l’Italia in tour. Sabato partirà dal Palasport di Padova, lunedì sarà al Teatro Regio di Torino, martedì agli Arcimboldi di Milano, mercoledì al Palatrento.
Nel 1960 cantava il folk di protesta, non è stanca di stare sulle barricate?
«Assolutamente no. Vent’anni fa era molto più faticoso per me perché c’era molto disimpegno in giro. Oggi il mondo è cattivo, pieno di problemi, di guerre e io con le mie canzoni ho tanto da dire, ci sono mille nuove battaglie da affrontare, proprio come negli anni Sessanta. La guerra in Irak mi tocca personalmente perché da bambina ho vissuto là, mentre mio padre lavorava all’università di Bagdad, e ho conosciuto il dolore e la vera povertà».
I suoi eroi, Woody Guthrie e Pete Seeger, tornano spesso di moda. Springsteen sta pubblicando un cd con le canzoni di Seeger.
«Guthrie e Seeger hanno cantato la vera America, quella della strada, del Grand Canyon, quella che vive nell’immensa provincia americana. Quei brani arrivano al cuore della gente. In questo senso Springsteen è un vero americano, un uomo con la mente e il cuore aperti, anche se spesso non abbiamo la stessa visione delle cose. Abbiamo anche litigato durante un concerto, e Peter Gabriel ha fatto da paciere».
È più importante la musica o la passione politico-sociale?
«Quando sono arrivata al Greenwich Village di New York avevo 18 anni circa e non volevo fare la cantante, non m’interessava il successo o i soldi. Avevo chiare in testa le mie idee politiche; poi ho scoperto che la musica era il miglior mezzo per esprimerle e raccontarle alla gente».
Così ha fatto fuori la star dell’epoca, Carolyn Hester, che nessuno più ricorda, ed è diventata una leggenda; si sente tale?
«Lo dice lei e lo dicono molti altri, quindi dico sì per non deludervi, ma io mi sento sempre una ragazza ansiosa di fare qualcosa di costruttivo per gli altri».
Esistono nuovi eroi folk?
«Certo, ce ne sono tanti, il più fedele alla tradizione e al tempo stesso il più innovativo e sincero è Steve Earle».
E Dylan? Con il suo arrivo sulle scene - e dopo la fine della vostra storia d’amore - lui è diventato la star del folk.
«Non soffro di complessi, la vita mi ha dato ciò che cercavo: un pubblico che ascolta i miei messaggi. Sono fiera che il mio nome sia legato, almeno artisticamente, a quello di Dylan. Non ho nulla da dire su di lui, sono d’accordo con ciò che dice No Direction Home, il film biografico su di lui di Scorsese».


Ora lui suona il piano e dal vivo cambia spesso pelle, che ne pensa? Tornerete a suonare insieme?
«Non lo vedo, non lo sento e sto bene così, le nostre strade sono diverse, anche se amo i suoi brani e continuo a cantarli».
Il suo nuovo cd Bowery Songs è piuttosto country.
«Sì, c’è un’ottima band, ma in Italia suonerò in trio, in un’atmosfera intimista».

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