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Johanna, la baby comunista simbolo del nuovo estremismo

Il comunismo in Danimarca è resuscitato e oggi ha la faccia convinta e senza trucco di una ragazza di 27 anni. Johanne Schmidt sembra tornata dal passato, quando le piazze si riempivano di bandiere rosse e si cantava l’Internazionale con rabbia e voglia di giustizia. L’altra Schmidt, Helle, sarà premier, ma sarà lei il vero ago della bilancia. In questi mesi di campagna elettorale Johanne ha fatto la vera leader, si è presentata ai comizi da comunista dura, da trotzkista-leninista-maoista. Sempre con il suo megafono e le scarpe da ginnastica, a gridare slogan e utopie dal sapore arrugginito, per spiegare a tutti che il marcio in Danimarca è la vecchia politica, quella della coalizione di destra, fatta da uomini panciuti in giacca e cravatta. Quando Helle era in televisione, Johanne era in strada, a prendersela contro i vecchi reazionari e contro la politica sull’immigrazione, la più severa in Europa, quella che ha alimentato menti malate e deviate come quella di Breivik in Norvegia. Due mesi dopo la strage dell’ultradestra Breivik ha fatto leva sull’elettorato. E ha spaventato la gente comune. E così lei, giovane, giovanissima leader del Partito dell’Unità, alle elezioni ha triplicato i suoi seggi al Parlamento arrivando a 12.
«Lottiamo per un socialismo che ci conduca ad una società comunista senza classi». È questo il mondo ideale e un po’ ingenuo di Johanne, che sa di vecchi ritornelli, di polulismo rosso. Anima ambientalista e sociale della coalizione, spingerà il governo ad occuparsi del riscaldamento globale e della disoccupazione, chiedendo di smontare parte della leggi restrittive in materia di immigrazione varate negli anni di governo di centro destra.
L’altra Schmidt, Helle Thorning-Schmidt, neo eletta premier non avrà vita facile. E non perché sia la prima donna a governare il Paese. La sua è una vittoria a metà. I liberali sono cresciuti leggermente restando il primo partito con circa il 26 per cento, mentre i socialdemocratici hanno avuto una lieve flessione attestandosi intorno al 25 per cento. Il vero asso nella manica di Helle non è stata l’idea di proteggere il sistema di welfare alzando maggiormente le tasse ai ricchi e proponendo di estendere la giornata di lavoro di 12 minuti. La sua carta vincente è stata l’ala estremista, quella radicale. Nell’alleanza infatti si è dimostrato decisivo il partito di estrema sinistra rosso verde, quello appunto di Johanne. Helle insomma dovrà stare attenta, dovrà saper mediare con gli indignados, i grillini danesi, gli antagonisti. E già si prevedono grandi difficoltà. Riuscire a trovare accordi non sarà facile. Da una parte ci sarà lei, premier già ribattezzata Gucci-Helle per i suoi abiti griffati, considerata inesperta di politica interna ma, soprattutto, troppo bella, troppo alta, troppo bionda e alla moda, troppo viziata per essere di sinistra e poter ricoprire la carica politica più ambita del Paese. Colpevolissima di aver iscritto la figlia alle scuole private, e scrutata dagli stessi compagni con sospetto dopo che suo marito Stephen Kinnock, figlio di Neil Kinnock, ex leader laburista inglese è stato oggetto di controlli fiscali. Dall’altra parte c’è Johanne, scarpe da ginnastica e felpa da discount, decisa a dare battaglia, a cambiare le regole per realizzare finalmente l’utopia marxista leninista. «Quando parliamo di utopia comunista - ha spiegato - significa una società dove nessuno guadagna grazie al lavoro degli altri. E soprattutto immagino un mondo dove tutti contribuiscono e la ricchezza sia divisa equamente». Compagni duri e puri che non mollano ora che sono arrivati a contare davvero, e che alzeranno la posta. Eppure quello successo in Danimarca potrebbe riproporsi anche in altri Paesi d’Europa. La crisi spinge i partiti radicali, li fa volare in alto nei sondaggi.


E oggi fa paura sapere che qualche deputato del partito abbia appoggiato economicamente gruppi terroristici come le Farc o il Fronte per la liberazione palestinese. «Il Paese oggi si è modernizzato», esulta Johanne. Sicuri?

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