Johnny Hallyday, un vero duro a Macao

L'artista ha deciso di chiudere con la musica, grande il suo ruolo in "Vengeance"

Johnny Hallyday, un vero duro a Macao

Cannes - Johnny Hallyday non farà più tournée canore, dandosi solo al cinema. Fa bene, a giudicare da Vengeance (Vendetta) di Johnny To, presentato ieri in concorso al Festival di Cannes, che viene dopo tante belle interpretazioni, come L’uomo del treno di Patrice Leconte (Mostra di Venezia 2004).

Composto e taciturno, Hallyday cammina svelto, parla poco e spara tanto: accenna una smorfia quando colpito, un sorriso quando colpisce. La storia e il fascino di Vengeance stanno nell’essenzialità sua e di Anthony Wong, il Lino Ventura del cinema cinese o anche l’alter ego locale di Hallyday. Perciò questo è un film di genere che merita una grande vetrina, anche perché - pur rappresentando criminali - ha una dimensione etica, quella mutuata dai film di Jules Dassin e Jean Pierre Melville. Di quest’ultimo la citazione da parte di To è scoperta, fin dal cognome del personaggio di Hallyday, Costello, come il Jeff del Samurai, che in Italia divenne (!) Frank Costello, Faccia d'angelo. E proprio il suo interprete, Alain Delon, avrebbe dovuto girare Vengeance: trattativa lunga e vana. Poi si fece avanti Hallyday. Il resto è cronaca. Gli incassi ci saranno, e non solo in Francia: se il coprotagonista è Wong, l’antagonista è il celeberrimo (in Cina) Simon Yam, entrambi a Cannes per presentare il film con To e Hallyday. Sarà da vedere se il film sarà distribuito anche in Italia, dove il criminale da festival ha preso l’aspetto desolante reso da Gomorra. Che, certo, è quello prevalente in ogni categoria professionale. Ma un film deve creare una realtà, non esserla.
Dimenticando le miserie del neorealismo epigonale, torniamo a Hallyday. Gli occhi azzurri più amati di Francia splendono meno di una volta fra palpebre che hanno molto vissuto. Ma il suo personaggio - a Macao per vendicare la figlia (Sylvie Testud) e i nipotini, oltre al genero, finiti in una strage delle Triadi - è quello di un ex poliziotto a riposo, che ha un ristorante sugli Champs-Elysées (Hallyday ne ha davvero uno, dove Emanuele Filiberto incontrò Clotilde Coreau) e quindi sa cucinare. Cucina anche per un’altra frazione delle Triadi, quella che lui arruola per la vendetta, in cambio di denaro, di un Rolex, del ristorante e di «un grande appartamento a Parigi» (Hallyday ne ha davvero uno).

E' bello vedere Macao col suo fascino portoghese, seguita da Hong Kong, col suo fascino cino-newyorkese. I soprabiti dei finti passanti sono eccessivi per la locale temperatura invernale: servono solo per fare tanto film noir. Ma To sa anche inventare: la bicicletta senza ciclista, fatta correre a rivoltellate, è una bella novità. Il rapporto fra i sicari di una parte e dell’altra, puramente professionali, sono meno nuovi, ma il regista li arricchisce di dettagli simpatici.

E anche l’incombere dell’amnesia, che obbliga Hallyday a fotografare e classificare buoni e cattivi (onde poterli collocare a memoria perduta) è una felice ironia su registi (romanzieri, giornalisti) che mettono come una didascalia ai personaggi. Convinti che, altrimenti, il pubblico non capisca.

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