Ha vinto 12 partite su 15, secondo a due punti dal Barcellona, primo nel girone di Champions. Eppure neppure in Spagna Josè Mourinho garba. Lui fa poco per farsi accettare, risolve problemi ma lascia sporco in giro. E' il compagno di classe che non ti fa vedere la soluzione del problema che ha appena consegnato alla maestra, è quello che sbatte in faccia i pensieri in un ambiente ipocrita che mostra il sorriso e cova rabbia dentro. E' quello che storpia apposta i nomi dei compagni di classe e chiede continuamente chi siano, facendo credere di non conoscerli, è quello che prima di entrare in aula dice che è il migliore di tutti, ha la merenda in cartella e non la offre. E' quello che alla vigilia di un compito in classe stordisce l'insegnate che alla fine chiede di fare un tema su un argomento scelto da lui.
Tutti abbiamo avuto un compagno di classe così e tutti noi l'abbiamo odiato profondamente, aspettavamo una sua sconfitta come una nostra vittoria, gli auguravamo le peggiori malattie e se potevamo gli rubavamo le figurine.
Tutti tranne quelli del suo giro, per loro lui era il maestro, la guida, l'inarrivabile, o come dice Josè Mourinho: "Dio e subito dopo Dio, io".
Non può avere troppi amici uno così, gli interisti e adesso i madridisti, neanche tutti, poi qualche tifoso neutrale, pochi. Il resto dell'Italia era contro di lui, più contro di lui che contro l'Inter che fino a quel punto aveva vinto in serie A ma aveva sistematicamente fallito in Europa. Questo arriva e al secondo anno centra campionato, coppa nazionale e Champions league, mai successo in Italia, record dei record, attaccando frontalmente la Juventus, un totem del Bel Paese calcistico, e il Milan, la squadra del Cavaliere, del Presidente del Consiglio, la dominatrice d'Europa. Una sfida che lo ha esaltato subito, vincere con chi era stato schiacciato dalla strapotenza dei due club più forti, raggiungere il traguardo impossibile, entrare nella storia del club a vita. Per fare questo Josè ha messo in campo tutto, ha attaccato il Palazzo quando fece il gesto delle manette, la stampa quando parlò di prostituzione intellettuale, la Juventus, la Roma e il Milan quando raccontò la celeberrima parabola dei zero titoli, intendendo che la stagione sarebbe finita senza che nessuna di queste squadre avrebbe vinto niente. Perchè avrebbe vinto tutto lui. Dopo essersi fatto nemici ovunque, anche nei posti più cimiciosi del Paese, Mourinho è partito alla carica parlando del rumore dei nemici, una delle sue digressioni più apprezzate dai suoi fans. Il rumore dei nemici era, secondo lui, il mormorio, il rosicare, il rimuginare di tutti gli altri, gli invidiosi, quelli che alla domenica o al mercoledì gli dovevano giocare contro. Quello che in pochi hanno capito è che Josè Mourinho ha sempre avuto bisogno di nemici, fanno parte del suo principale ingrediente necessario per caricarsi. Le sue provocazioni altro scopo non hanno se non quello di esacerbare il prossimo sfidante, agitarlo, indurlo a muoversi senza ragionare, con gli occhi annebbiati e il cervello evaporato. Josè se non ha nemici se li deve creare, se funziona tutto si impegna a fondo per scovare qualche magagna e farne l'argomento della vigilia. Nel suo mirino può capitarci chiunque, decide lui la vittima e la massacra. Se poi si presenta qualcuno talmente impavido da dichiarare pubblicamente che Mourinho gli è antipatico, Josè ci va a nozze, gli darebbe un premio perché legittimerà qualsiasi reazione contro questo impavido da parte sua. Ci sono finiti dentro il direttore generale del Catania Lo Monaco che voleva prenderlo a randellate, Josè rispose: «Lo Monaco? E chi è? Io conosco il Principato di Monaco, il monaco tibetano, il Bayern di Monaco...».
E fu una delle rappresaglie più buoniste, a Ranieri
disse che dopo anni in Premier league sapeva dire solo good afternoon, e neppure sapeva pronunciarlo, l'allenatore Beretta diventò Barnetta, detto con una deferenza totale, non risparmiò neppure la presidentessa Rosella Sensi, durante una partita chiese a un arbitro se per caso avesse paura di arbitrare. Con i suoi giocatori è stato anche peggio. A Julio Cruz, uno dei veterani della squadra, gli ha fatto uno shampoo pubblico solo perché l'argentino aveva battuto un fallo laterale. Fuori per settimane. Con Balotelli è stata una leggenda che ancora oggi la gente si racconta nei bar. Adriano era stato consigliato ad andarsene dall'Italia, via, sparire. Santon ha sbagliato un passaggio costato un gol ed è uscito dalla prima squadra dopo che per mesi Josè lo aveva citato ad esempio, il futuro dell'Inter. E quando il giovane difensore nerazzurro disse, scherzando, di sentirsi il miglior terzino destro del mondo che giocava a sinistra, Josè non ha avuto pietà e non gli ha più fatto vedere San Siro, anche se sapeva benissimo che Santon aveva fatto una innocente battuta una sera che si trovava fra amici, peraltro chiedendo in ginocchio di non riferirla neppure per scherzo perchè altrimenti Josè lo avrebbe impiccato.
Ma per essere uno così bisogna sempre giocarsi tutto, senza tregua, senza respiro, Josè non ha buttato un solo movimento del suo corpo o della sua mente, ogni suo gesto aveva un significato. La gente ha impiegato due anni a capire che quando un giocatore dell'Inter era a terra, in realtà era un ordine di Josè che glielo comandava per sfruttare l'interruzione della partita per chiamare alla sua panchina Cambiasso o Thiago Motta o Snejder per dargli dei compiti. Il capolavoro al Camp Nou di Barcellona quando dopo l'espulsione di Thiago Motta ha deciso di scendere in campo per pareggiare il numero dei giocatori sul prato. E Josè lo fece realmente, si mise a dare pacche sulle spalle a Guardiola, a parlare con il quarto uomo, in una occasione ostacolò anche un barcellonista che stava per riprendere il gioco.
Con il sorriso, naturalmente, quel sorriso che fa venire voglia di mettergli le mani addosso. Ai nemici, naturalmente.
Uno così si sopporta al massimo un paio d'ore, non di più. Josè lo sa, lui dice a tutti di lasciare stare la squadra, di attaccare lui, ecco perchè è amato dai giocatori, ecco perchè un fuoriclasse come Samuel Eto'o ha accettato di fare il terzino per la causa. Josè è il collante che manca, il bersaglio da colpire, l'invidiato dal resto della compagnia. Il suo successo non è un segreto, lui parte da lontano, quasi sempre scegliendo il presidente giusto, quello con quella disponibilità economica che non è merce di tutti. Dopo Abramovic e Moratti gli rimaneva solo Florentino Perez e ha firmato per il Real. Nonostante abbia abbandonato l'Inter la sera stessa della conquista della Champions, ha lasciato una voragine nel cuore dei tifosi, dopo di lui nessuno, Benitez è quasi un martire, una vittima designata.
Ma la notizia, che peraltro era largamente prevista, è che appena se n'è andato, Mourinho è iniziato a mancare anche ai suoi nemici.
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