Judy Collins, piccole magie tra ballate, Gershwin e Beatles

Al confine tra folk e musica d’autore sta da oltre quarant’anni Judy Collins. A lei si addice lo slogan coniato per Anita O’Day: «Non una cantante, ma una songstylist» tanto il suo repertorio è vario nel ramificarsi dalle radici popolari al jazz, alla nobile canzone di Rodgers & Hart, a Leonard Cohen passando per i Beatles. Il suo canto pungente e sensuale, la sua spontaneità hanno conquistato sabato sera - nel suo unico show italiano - il Blue Note di Milano. Non il pienone ma un pubblico attento e coinvolto come poche volte, che scandiva sottovoce le parole di classici come Amazing Grace e ascoltava (una volta tanto) in religioso silenzio.

Lei, icona folk degli anni 60 (Crosby Stills e Nash le hanno dedicato Suite: Judy Blue Eyes e Clinton ha chiamato la figlia Chelsea in onore della sua Chelsea Girl) sa rinnovarsi incrociando amarezza e tenerezza, calibrando momenti intimisti e altri più leggeri nell’intonare (accompagnandosi o facendosi accompagnare al piano perché ha perso la chitarra all’aeroporto) ora i suoi classici come Chelsea Girl e Song For Duke ; ora lasciando un’impronta originale su classici di Gershwin come They Can’t Take It Away From Me, su inni beatlesiani come In My Life in versione lenta e romantica, su preghiere profane come Bird On a Wire di Cohen (da lei scoperto e lanciato) o Both Sides Now di Jomi Mitchell. Quando la semplicità diventa magia.

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