Cesare Gussoni, che ragazzino non è, si esalta come un giovanotto di belle speranze quando può parlare del suo mondo. Per aiutare gli arbitri a venire fuori da quel cancro che lui chiama «tsunami», non ha esitato a rimettersi in gioco, guidare lAia, prendere per mano la Can e infine aprire la strada a Collina. «Lavoriamo in perfetta sintonia, io e Pierluigi. Eppure cè gente che pagherebbe di tasca propria per vederci litigare»: è il suo esordio senza peli sulla lingua.
Ma cosa si aspettava da un mondo lasciato da così tanto tempo?
«Il giorno che sono rientrato, ho avuto paura di ritrovarmi in un ambiente completamente diverso da quello in cui avevo passato anni bellissimi. Invece ho avuto la piacevole sorpresa che gli arbitri, nonostante i formidabili mutamenti subiti dal calcio, non sono dei mercenari e non fanno questa attività per soldi. In loro ho ritrovato lo stesso spirito delle generazioni passate. Allora mi sono detto che ce lavrei fatta a ricostruire un gruppo che aveva lurgente necessità di mettersi alle spalle Calciopoli e di ritrovare lantica credibilità».
Ci state riuscendo o siete ancora lontani dalla meta?
«Stiamo lavorando bene per aiutare i nostri uomini a riconsiderare le loro posizioni e rimettersi in discussione. Dai giovani sono scaturite le risposte migliori. Le faccio dei nomi: Celi, Damato, Orsato, Gervasoni, Pierpaoli. Tutta gente che al secondo anno di Can sta maturando alla svelta grazie alle qualità ma anche agli insegnamenti di Collina, un allenatore straordinario sul piano tecnico, culturale, manageriale».
Se è per questo anche Collina si è rimesso in gioco...
«Lo sapevo che non avrebbe risposto di no alle mie insistenze. Come poteva abbandonare il suo mondo in un momento così delicato e anche disgraziato? Sapeva di dover puntare, giocoforza, sui giovani. E i ragazzi gli vanno dietro, a ogni raduno imparano qualcosa. In passato ne facevano pochi. E magari qualcuno, come quello di Assisi, intitolato al misticismo. Noi abbiamo imboccato una strada diversa. Collina ha voluto a Coverciano i promossi delle ultime tre stagioni con lobbiettivo di lavorarli al corpo e uniformare le loro valutazioni. Non è facile con questo regolamento che cambia così spesso le interpretazioni, specie sul fuorigioco».
E di chi è la colpa?
«Per molti versi stiamo subendo ancora le accelerazioni volute da Casarin nel tentativo di fare da apripista alla Fifa su alcune novità. La regola del fuorigioco è cambiata moltissimo per favorire lo spettacolo, ma ha anche complicato la vita agli assistenti che nel dubbio non debbono mai alzare la bandierina. Fino al 1990 era il contrario».
Ha parlato bene dei giovani. E i più esperti come Rizzoli?
«Rizzoli ha sbagliato Fiorentina-Juve: gol da annullare a Iaquinta per il fuorigioco di Trezeguet, rigore alla Fiorentina per il fallo su Semioli. Ma è la prima volta che larbitro bolognese cade in errore da due anni a questa parte. Cè poi chi ha sbagliato per via dellauricolare, come Morganti che ha cambiato idea in Lazio-Milan per aver ascoltato lassistente. Una battuta, sia chiaro. Lauricolare ha portato ad ottimi risultati. Ma va usato con intelligenza. Non deve servire allarbitro esperto, designato come quarto uomo, per fare da tutor al collega più giovane che sta in campo».
Si aspettava un lavoro così duro?
«A essere sincero no. Sapevo di dover mettere mano al nuovo statuto e di reclamare una maggiore autonomia. Non avrei mai immaginato di diventare vice di Abete per fare da ago della bilancia della politica federale. Adesso mi sto dedicando alla ristrutturazione della segretaria che è assolutamente inadeguata ai tempi.
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