Nella sua scuderia, Marco Boglione conta 60 stilisti e alcuni brand che hanno fatto la storia del casual italiano: da Jesus Jeans a Sabelt a K-Way, tanto nota da essere entrata nei dizionari. I tre brand oggi sono il cuore pulsante della nuova divisione fashion di BasicNet, piccolo impero fondato e guidato dall'imprenditore torinese, che negli anni '90 ha rivoluzionato produzione e distribuzione spostando tutto sul web. Un modello da copiare, insomma, «anche se», sottolinea il presidente dell'azienda nata con lo sportswear (fra i marchi di proprietà, anche Kappa, Robe di Kappa, Superga, Anzi Besson) e quotata in borsa dal '99, «bisogna essere lungimiranti, le aziende non si cambiano dall'oggi al domani. Il mio motto? Piano piano che ho fretta: mai vivere di rendita anche quando va bene».
Come ha fatto a rivoluzionare l'azienda?
«Sono rimasto nella sede dell'azienda in cui entrai negli anni '70, il Maglificio Calzificio Torinese: allora stava passando dalla produzione tessile di calze e intimo all'abbigliamento casual, una scommessa nuova, nata dalle rivoluzioni del '68. Oggi la gestiamo con un modello di business evoluto: operiamo nel mondo attraverso un network di 400-500 aziende che producono o distribuiscono su licenza abbigliamento e accessori con i nostri marchi. E forniamo loro servizi di ricerca e sviluppo, industrializzazione dei prodotti, e marketing globale. Tutto attraverso il web».
Ha creato un modello di business.
«Siamo di fronte a cambiamenti epocali, le aziende devono sapersi adattare, ma per cambiare ci vogliono 4-5 anni. In molti oggi progettano di uscire dalla crisi con il nostro sistema: il modello di business lo puoi acquisire in 15 giorni, ma noi ci abbiamo messo 15 anni a realizzarlo, il nostro vantaggio competitivo sta nella macchina che sostiene il modello di business».
E poi voi avete dei brand storici: come è nata la divisione moda?
«Il progetto è partito quando abbiamo sviluppato il prodotto con K-Way, spostandoci dallo sportswear al casual fashion. Dopo il rilancio di Jesus Jeans e l'acquisizione di Sabelt, la divisione moda si è fatta da sola. Oggi gli uffici stile sono separati, ma c'è un unico coordinamento».
K-Way è una parola di uso comune, ma oggi non ci sono solo le giacche a vento.
«È un brand come rimmel, walkman, jeep. Sul dizionario si legge: Giacca impermeabile leggerissima e ripiegabile nella sua tasca, noi però abbiamo esteso il brand, oggi facciamo dei total look».
Di Jesus Jeans invece tutti ricordano le mitiche pubblicità.
«In Italia a fine anni '60 pochi brand si affermavano con la comunicazione. Pane e jeans, Chi mi ama mi segua, La voglia di andare con lo spazzolino nella tasca: le pubblicità di Oliviero Toscani hanno segnato un'epoca, erano gli anni in cui il jeans diventava un capo casual per tutti.
Anche Superga è tornata di moda dopo anni di oblio. Merito del marketing?
«Ci abbiamo lavorato tanto: i testimonial come Rita Ora sono inutili se dietro non c'è un progetto chiaro da coltivare.
Il dna del brand quanto conta?
«Alla base di tutto c'è il posizionamento, che è la riconoscibilità del brand: è fondamentale avere un'identità che cambia pur rimanendo se stessa. Come una persona».
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