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Kakà/2 No, è l'alfiere del calcio spettacolo

Sessantacinque milioni per Kakà sono un prezzo da saldo. Basta confrontarlo, per esempio con i 110 miliardi sborsati dalla Lazio nel 2000 per l’acquisto di Hernan Crespo dal Parma. O, sempre nel 2000, con il corrispondente di 56 milioni sborsati per Luis Figo dal solito Florentino Perez per il solito Real Madrid. Con rispetto parlando, si trattava di Crespo e di Figo, non di uno dei tre giocatori più ricercati e moderni del pianeta. «Uno che fa vincere», Gattuso dixit. Son passati nove anni e oggi, con 65 milioni non si svolta. Al massimo si ripianano i debiti, si sana il passivo di bilancio, guarda caso equivalente alla somma incassata. Per colmare il buco si potevano cedere altri giocatori, non l’ultima bandiera rimasta dopo l’addio di Paolo Maldini (confrontare lo score delle partite con e senza Kakà, giusto per rinfrescare la memoria). Vien da chiedersi se l’antico amore rossonero del presidente Berlusconi, «il primo titifoso milanista», si sia affievolito. Se la passione si sia intiepidita. E, vista la contrarietà del giocatore, vien da pensare che le vere ragioni della cessione siano altre. Di certo, la svendita di Kakà è figlia di una serie di campagne acquisti sconclusionate. Oliveira, Ronaldo, Emerson, Ronaldinho, Shevchenko bis, Cardacio, Viudez, Grimi, Senderos: tanto per citare in ordine sparso bidoni, ex giocatori e promesse non mantenute. Ma la madre di tutti gli addii, oltre a Kakà anche Ancelotti, è proprio l’ultima, quella che ci ha portato Ronaldinho con la volontà del presidente di imporlo protagonista. Non essendoci riuscito, ora bisogna fargli largo. Vedremo. Raramente Berlusconi sbaglia gli uomini-allenatorio calciatori che siano - anche se in passato s’imbatté nell’opposizione di Sacchi che pretese l’acquisto di Rijkaard al posto di Borghi. Vedremo, dunque. Galliani assicura che il «Milan non smobilita». Tuttavia l’incedibilità di Pirlo e soprattutto di Seedorf, sarebbero la riprova del contrario. Il futuro ambizioso andava costruito attorno a Kakà, non a Seedorf. Sì, c’è il timore che l’antica passione rossonera si sia scolorita. E che il primato dell’estetica e del bel gioco, marchio di fabbrica della casa, non sia più coltivato come una volta. Magari non sarà così. Ma in attesa di essere smentiti, perdoneranno i dirigenti rossoneri se anche il tifo rischierà di scolorirsi.

E se, intanto, per goderci lo spettacolo della cavalcata di Kakà palla al piede, finiremo a sintonizzarci su Sky per le partite del Real.

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