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Kakà con il marchio da leader «Ora è il più grande del mondo»

Galliani lo incorona. Lui pensa al Milan di oggi e domani. «Ho baciato Ancelotti per dimostrare che ci vogliamo bene. Un giorno vorrei che i giovani imparassero da me»

Franco Ordine

Funziona anche nel calcio, oltre che nella vita: da un male può nascere un bene. Così da un Milan moscio e imbolsito, fino all’intervallo di martedì sera, può rinascere, dopo l’uscita dello sciagurato Bonera per doppio giallo, un Milan gagliardo e tosto, capace di imporsi in dieci grazie all’uomo in più che tutti, a Milanello e dintorni, aspettavano da settimane, come il settimo cavalleggeri. Se lo immaginavano in sella a un destriero bianco, spada al vento e così il brasiliano dal volto di bambino si è presentato sotto le spoglie autentiche di un campione che tremare i portieri fa con quella sassata da quasi trenta metri che fulmina l’Anderlecht. «Io ci provo sempre, questo è stato un gol bello, difficile e importante» sintentizza l’interessato la mattina dopo a Bruxelles, aeroporto di Zaventem mentre aspetta il charter per il ritorno e si ferma con papà e mamma che lo seguono con discrezione in ogni angolo d’Europa, a parlare di fede e di calcio.
E non conta granché se Kakà sia il prossimo scontato leader del Milan attuale. Si tratta di un dettaglio sul quale è lecito apparecchiare un dibattito accademico. «Nel Milan il leader è il marchio» spiega Adriano Galliani che vede la vicenda dalla parte del bilancio e della necessità di dover reclutare almeno sei-sette del valore tecnico di Kakà. «Altrimenti - insiste fermandosi allo scenario continentale - non sarebbe possibile raggiungere negli ultimi tre-quattro anni due finali di Champions, una semifinale e un quarto di finale». «Devo imparare molto per diventare un leader» è l’opinione del diretto interessato pronto nel regalare a tv e stampa quella scenetta da quadro familiare, molto tenero, bacio con abbraccio con Ancelotti, sotto la panchina e la tribuna centrale. «L’ho fatto per far vedere che ci vogliamo bene, l’ho fatto perché è lui l’allenatore e io seguo le sue orme» è la chiave di lettura che chiude, finalmente, un caso costruito sul nulla. «Io me le prendo le responsabilità» incalza sempre Kakà già affascinato da quello che l’aspetta, «quando i giovani del Milan dovranno imparare da me» così prefigurando un futuro tutto rossonero, senza se e senza ma. Con la tentazione di costruire una improbabile ditta di spettacolo purissimo, con Ronaldinho cioè. «È un grande, sarebbe bello e divertente giocare al suo fianco» declina Kakà perentorio solo nel troncare altre discussioni sul modulo, una o due punte, cose di questo tipo che servono solo ai dibattiti in tv.
«Io faccio ciò che mi dice di fare l’allenatore» taglia corto il campione con la faccia da bambino, messo sul chi va là dal precedente intervento polemico e adesso sveglio a controllare la direzione del suo intervento. Se Kakà è tornato, col settimo cavalleggeri, a risollevare le sorti del Milan in Europa e a recuperare una qualificazione di fatto mai messa in discussione, l’unico eccesso è concesso a Galliani che per difenderlo dalle tentazioni del Real Madrid ha tirato fuori gli artigli e ha compromesso i rapporti diplomatici con i merengues oltre che con Fabio Capello. «Kakà è un grandissimo giocatore, forse il più grande o qualcosa di molto vicino» la definizione che è molto vicina alla realtà. Kakà e i suoi fratelli, dunque nel Milan che verrà. Tra i quali ci sarà ancora Dida, «vedrete che firmerà» la sicurezza di Galliani il quale aggiunge particolari importanti sul conto di Oliveira («ha recuperato il 75% della forza della gamba operata»).

Un giorno o l’altro, vedrete, bisognerà ringraziare quello sciagurato di Bonera per aver restituito al Milan il miglior Kakà.

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