Franco Ordine
Il primo a intuire quel tesoro di talento fu Rui Costa. Arrivato a Milanello su un destriero bianco, il portoghese ne discese prestissimo appena la stella di Kakà comparve allorizzonte. Molti di noi, sulle prime, interrogarono Rui e provarono a stuzzicarlo, istigarlo. E invece Rui, serafico e previdente, onesto con se stesso e con la realtà, scolpì la seguente frase: «Io perdo il posto per larrivo di uno che sarà tra due anni Pallone doro». Rui Costa fu il primo. Lultimo, in ordine di tempo, è Florentino Perez, un tempo presidente a tempo pieno del Real Madrid dei galattici e ora invece numero uno di Abertis in giro per lEuropa a fare fusioni e affari e a vedere calcio, come mercoledì notte in tribuna donore a San Siro. «Hai capito perché mi sono battuto come un leone per evitare che Kakà andasse al Real e sono pronto a farmi violentare in piazzale Loreto per conservarlo al Milan?» la frase di Adriano Galliani a Perez che deve aver gradito oltre che lo spettacolo di gol realizzato dal brasiliano contro lAnderlecht anche il no ripetuto ai suoi successori alla guida del club blanco.
Ecco chi è Kakà, uno che può scatenare anche una guerra tra Real e Milan, oppure una corsa contro il tempo, allepoca del mondiale di Germania, per legarlo con un contratto più lungo e oneroso e tagliare la strada a ogni eventualità diversa. Arrigo Sacchi capì per tempo laffarone concluso da quelli del Milan. La sua ricostruzione ne è una conferma. «La prima volta che lo vidi in azione fu a Cesena, nellagosto del 2003. Finita lamichevole andai negli spogliatoi e scherzando dissi ad Ancelotti e Tassotti: bravi, una volta tanto siete riusciti a prendere un giocatore vero. Io allepoca lavoravo per il Parma e ci rimasi malissimo: ero molto amico di Maturana, il tecnico che laveva segnalato, ma non avevo avuto il tempo per volare in Brasile e vederlo allopera. Kakà abbina due qualità decisive: grandissimo talento e bravissimo ragazzo. Se posso trovargli un difettuccio, mi sembra che di tanto in tanto sia egoista. Per il resto è uno sempre al servizio della squadra che gioca a tutto campo e a tutto tempo».
In discussione, allora, resta soltanto la qualifica di Kakà. È il più grande di tutti, come racconta da anni Ancelotti, oppure no? E merita il Pallone doro come si augura Silvio Berlusconi? Marcello Lippi, ct campione del mondo, divide in due la questione. «Il premio lo darei a un italiano, uno dei ragazzi di Duisburg» ammette da Viareggio. E fin qui ci sta tutto. Ma su Kakà si scioglie. «Io divido in due categorie i grandi giocatori: il fuoriclasse e il campione. Di fuoriclasse in circolazione ce nè pochi, fanno la differenza e consentono a una squadra di vincere. Kakà è uno di questi. Poi cè il campione che gioca 2-3 partite belle ma non sarà mai un fuoriclasse» sentenzia. Non conta averlo o no sotto gli occhi tutti i giorni. Cesare Maldini, ad esempio, che per mestiere gira in Europa e nel mondo a caccia di nuovi Kakà da segnalare al Milan, si confessa stregato e ammirato. «Uno come lui che gioca in quel ruolo, grazie alle energie, riesce a tornare, aiutare, prendere colpi e ripartire» segnala il papà di Paolo, uno che di fenomeni naturali se ne intende. «Mi colpisce la velocità con cui parte palla al piede, saltando in dribbling rivali e puntando dritto alla porta» ripete Cesarone. Che prenota un futuro ancora più sbalorditivo. «Ascoltatelo quando parla, garantisce di voler migliorare: è il suo carburante» chiude Maldini senior.
Roberto Donadoni sta seduto sulla panchina azzurra e da calciatore ebbe a frequentare il Milan di Van Basten e di Franco Baresi. «Siamo a quei livelli» segnala con il suo solito filo di voce dopo averlo ammirato, mercoledì sera, dal vivo, a San Siro. Per lui, Silvio Berlusconi coniò la definizione «luci a San Siro». «Forse per Kakà bisognerebbe parlare di riflettori a San Siro» riconosce il ct azzurro che non lo cambierebbe con Ronaldinho e volentieri, se il regolamento lo consentisse, lo recluterebbe invece che inseguire Amauri, il centravanti del Palermo trascurato da Carlos Dunga. Ma ciò che più conta, alla fine, forse sono i riconoscimenti postumi e «stranieri».
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