Il kamikaze Game: «Non sono pentito» E Al Qaida firma la bomba di Milano

Mutilato e cieco per sempre per gli effetti della sua bomba rudimentale. Ma non pentito. Un mese dopo l’attentato alla caserma Santa Barbara, il libico Mohamed Game è piantonato all’ospedale San Paolo di Milano, e non rinnega l’attentato che ha progettato e - per fortuna solo in parte - portato a termine contro il suo bersaglio militare in piazzale Perrucchetti.
Copre i complici, non si dice pentito, e continua a pregare nel suo letto d’ospedale dove è ricoverato. «Le sue condizioni di salute migliorano», si limita a dire il suo avvocato Leonardo Pedone, mentre continua l’attività degli uomini della Digos di Milano guidata da Bruno Megale.
Dopo la scoperta del covo di via Gulli, l’appartamento-laboratorio dove è stato messo a punto l’ordigno, e le cantine in via Civitali (con il materiale elettrico forse usato per l’innesco), le indagini si sono concentrate sul materiale informatico trovato all’interno del computer dell’aspirante kamikaze e sull’elenco a cui, qualche settimana fa, fece riferimento lo stesso ministro dell’Interno. Una serie di nomi, forse di obiettivi, su cui gli inquirenti stanno lavorando per ricostruire la rete di contatti di Game. È attraverso alcuni motori di ricerca che l’attentatore libico ha cercato informazioni su come mettere a punto bombe efficaci. Ieri, intanto, si è tenuta un’udienza davanti al tribunale del Riesame per valutare l’istanza di scarcerazione avanzata dal difensore del complice, Mohamed Israfel. Il secondo libico, uno dei due presunti complici dell’attentatore, era a conoscenza nel dettaglio dei piani del kamikaze, però nel corso degli interrogatori davanti agli inquirenti avrebbe sostenuto che Game gli aveva raccontato alcune cose, ma che non pensava facesse sul serio. I giudici si sono riservati di decidere, mentre anche l’altro presunto complice attende, dietro le sbarre, che venga fissata l’udienza al riesame.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni intanto tiene alta la guardia: «Pensiamo - ha detto ieri - che ci possano essere cellule in Italia che si formano, finanziano e addestrano per fare attentati da noi». E gli obiettivi sensibili della città restano a un livello di allerta piuttosto alto, lo stesso deciso dal giorno dell’attentato.
Sull’azione alla Perrucchetti, inoltre, mette una firma pesante Al Qaida, la rete del terrore guidata da Osama Bin Laden. La rivista legata ad Al-Qaeda nella penisola araba spiega ai lettori l’importanza degli attentati compiuti da singoli che non hanno legami organici con la cupola del gruppo terroristico. Senza citare mai l’episodio di Milano, il leader qaidista nella penisola araba, il saudita Abu Basir Naser al-Wahshi, firma un editoriale dal titolo «La guerra è un inganno», nel quale spiega il concetto di «jihad in franchising», la stessa formula usata a Milano dal ministro Maroni nel denunciare il possibile addestramento in Italia di cellule affiliate ad al Qaeda. Al-Wahshi chiede ai seguaci di «colpire gli interessi degli occidentali come aeroporti e stazioni ferroviarie. Tutto ciò spiega - può essere fatto molto facilmente, usando bombe artigianali confezionate in casa».


Sul pericolo terroristico arrivano le garanzie della moschea di via Padova: «Nell’ambito dove operiamo a Milano - spiega il direttore Mahmoud Asfa - siamo certi che non ci sono aspiranti terroristi fai da te». Ma gli altri possono dire altrettanto?

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