Un massacro all’ora dei salmi e delle letture religiose. Nove ragazzi crivellati di colpi tra gli scranni di una sala di studio e preghiera. Tutt’attorno una decina di feriti, tre dei quali in gravi condizioni. Fuori da quella sala della morte un terrorista palestinese, responsabile dell’incursione, impegnato in una furiosa sparatoria con le forze di sicurezza israeliane. Dura per almeno dieci minuti poi alcuni studenti appoggiati da militari e poliziotti colpiscono e uccidono gli aggressori, riescono a penetrare nella biblioteca e a fornire i primi soccorsi. È finita così, con una strage di studenti religiosi ebraici, una giornata infernale aperta dall’uccisione di un soldato a Gaza, punteggiata da continui lanci di missili sulle cittadine israeliane e conclusa infine da un rappresaglia israeliana costata la vita a quattro militanti della Jihad islamica.
L’epilogo del giovedì nero scatta poco prima delle 21 quando due palestinesi riescono a penetrare a Merkaz Harav, la più importante scuola rabbinica nella parte occidentale di Gerusalemme. Gli attaccanti sono votati alla morte e al massacro. Sono armati di kalashnikov e granate, più tardi verrà trovata una cintura esplosiva. L’armamentario è nascosto sotto dei cappottoni neri assolutamente uguali a quelli degli altri studenti. È una tecnica già sfruttata in passato per mettere a segno alcuni attentati suicidi nel cuore di Gerusalemme. A facilitare l’incursione contribuiscono le scarse misure di sicurezza e l’ora relativamente tarda dedicata allo studio e al raccoglimento.
Una volta dentro, i terroristi non trovano nessuno a fermarli. Quando s’affacciano alla sala e tirano fuori le armi gli studenti sono in loro balìa. Non possono far altro che cercar di buttarsi a terra, sperare di evitare i colpi. Più che un attacco è una mattanza. I colpi di kalashnikov crivellano gli studenti più vicini all’entrata, feriscono gravemente gli altri. «Hanno sparato almeno 800 colpi - riferisce Michael, un ragazzo sopravvissuto alla strage -, lì dentro c’è sangue ovunque, ci sono macchie sui muri e pozzanghere anche sui pavimenti, i cadaveri sono sparsi nelle stanze e fra i corridoi».
La folla radunata intorno alle trenta ambulanze parcheggiate fuori dall’edificio sente raffiche e colpi per almeno una ventina di minuti. Centinaia di persone intanto inscenano una protesta davanti al collegio rabbinico gridando tutta la loro rabbia: «Morte agli arabi» ripetono i dimostranti, in gran parte religiosi. Il terrorista intanto è stato identificato: è un giovane arabo che viveva in un sobborgo di Gerusalemme Est.
Per molti palestinesi l’attacco è, invece, la tanto attesa vendetta dopo le incursioni dell’esercito israeliano che la scorsa settimana hanno provocato circa 120 morti a Gaza. Dopo la diffusione delle prime notizie sulla strage molti scendono in strada sparando in aria per festeggiare. Una voce da una moschea grida: è la vendetta di Dio. Il presidente Abu Mazen esprime invece la sua condanna per la strage di civili. In serata, dalla Tv di Hezbollah, arriva una rivendicazione da parte di una inedita «cellula Imad Mughniyeh», dal nome del capo militare di Hezbollah ucciso a Damasco il 12 febbraio. Gli aerei israeliani, intanto, sono già in azione e inceneriscono a colpi di missili un gruppo di militanti della Jihad islamica.
È la rappresaglia per l’uccisione, in un’imboscata messa a segno poco dopo l’alba, di un soldato israeliano. Quella per l’attentato alla scuola rabbinica deve ancora arrivare e si preannuncia molto più dura e sanguinosa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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