Keynes torna ad accendere il dibattito Sono meglio le élites delle masse?

Presentato un volume di saggi dell'economista anti-crisi. E tra Casini, Bersani, La Malfa e Mieli si apre confronto attuale su borghesia e ceto medio

Keynes torna ad accendere il dibattito 
Sono meglio le élites delle masse?

Monte Citorio, esterno pomeriggio: da una parte, allineate e perfettamente lucide, dodici auto blu (anche grigie)in attesa di altrettanti illustri passeggeri,che in centro non si recano certamente a piedi; dall’altra i disoccupati organizzati di Cava de’ Tirreni, in presidio permanente davanti al Palazzo. Perfetta rappresentazione fisica di quanto, dentro alla Sala delle Conferenze della piazza italiana più ripresa dai media, s’andava annodando intorno alle concezioni liberali di John Maynard Keynes (1883-1946): meglio le élites delle masse. Tornato di moda da quando l’Adelphi ha dato alle stampe alcuni suoi scritti, il più recente dei quali è “Sono un liberale?”(curato da Giorgio La Malfa), l’economista anti-crisi ha suscitato un dibattito postumo, ma estremamente attuale. Perché Casini non ci sta: soffre a vedere le signore dei Parioli, il quartiere-bene della Capitale, “che vanno a prendere le buste della Caritas in parrocchia, dopo la Messa della domenica”, per lui segno evidente d’impoverimento del ceto medio. Qualcuno potrebbe spiegare a Pierferdy, ieri attorno al tavolo della discussione insieme a Pier Luigi Bersani, Giorgio La Malfa e Paolo Mieli, che le dame parioline (storicamente tirchie e avidissime) appartengono all’alta borghesia e non al ceto medio? Pazienza: per lui “Tremonti è un poveraccio, che fa ciò che può, visto che non c’è più un disegno politico”. E mentre “noi stiamo peggio degli altri e i nostri figli ci rimprovereranno di aver pensato solo al nostro Welfare”, perché mai il governo ”oggi dice: l’Europa non ci aiuta e intanto, ieri, l’Europa non doveva neanche esistere?”. Punzecchiature retoriche senza risposta e tiepido battimano dell’uditorio non foltissimo. Meno male che il leader Udc, in conclusione, ammetteva: “Noi politici? Siamo tutti un po’ Pinocchio”.

Da quel volpone che è, Paolo Mieli, nel ruolo di coordinatore e padrone di casa Rcs, prontamente l’ha buttata lì:”Ma per affrontare l’attuale situazione italiana ed europea, Keynes è la chiave giusta?”. Ovvio che no: l’economista britannico fu sempre scettico riguardo alla partecipazione del popolo alla politica. E Bersani? Per una volta in giacca e cravatta e non con le solite maniche di camicia rimboccate a metà gomito, in stile pop-dem, il capo del PD imbocca e afferma: “L’Italia sta concentrando troppo e il suo debito chi lo paga? Le famiglie, è ovvio”. E pensare che Keynes,come si legge nel volume adelphiano, ribadisce l’importanza dell’”inventare una saggezza nuova per una nuova èra. E nel frattempo, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”.

Missione impossibile con l’opposizione attestata su vecchi schemi e analisi improbabili. Come quella di Casini a Monte Citorio, che nell’arraffa-arraffa delle ladies dei Monti Parioli legge “l’impoverimento del ceto medio”.

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