RomaQui i casi sono due: o questo è un genio del giornalismo oppure è un furbissimo propalatore di mezze bufale, un fenomeno della pseudo-informazione, una specie di virus dadaista dentro la stampa italiana, insomma un simulatore coi fiocchi. Ammettiamo subito lorientamento di chi scrive: noi propendiamo per entrambe le ipotesi. Se così non fosse non sarebbe possibile che più o meno ogni sua intervista contenga una frase-scandalo, una qualche dichiarazione incredibile che si guadagna il giorno dopo una pagina sui quotidiani, una bomba o bombetta, insomma, alla fine, uno scoop. La simulazione peraltro è già nel nome, Klaus Davi, anagrafica esoterico-asburgica che ne nasconde una molto meno glamour: Sergio Mariotti, da Biel, Svizzera. Comunicatore dimpresa, giornalista, esperto di brand reputation, massmediologo, consulente dimmagine che per la propria ha scelto un look da cripto-nazista, con camicia nera su gessato grigio, capello ingellato stirato allindietro o con riga in mezzo tipo Salon Kitty, erre moscia gay friendly.
Che poi nella metà dei casi, altra peculiarità del klausgiornalismo, la frase-scandalo venga smentita dallinteressato (creando un curioso cortocircuito: cioè che esistano due versioni differenti di una medesima intervista registrata), questo non fa che aggiungere sale ad una zuppa già saporita. Forse non avranno detto proprio quella frase, è vero, ma qualcosa di molto simile sì, e in fondo se lo avessero detto sarebbe stato meglio per loro quanto a visibilità e «resa mediatica». È una quasi-dichiarazione, una simil-verità, diremmo una «klaus-notizia». Lintervistatore Klaus Davi resta sempre anche il consulente dimmagine e il massmediologo Klaus Davi, e una volta intervistati da lui è quasi certo che non si rimarrà anonimi. Pagando solo il prezzo di una piccola rettifica, come quella che ha dovuto fare Giorgio Stracquadanio, deputato Pdl, sul prostituirsi come atto lecito per la carriera politica. «Mai detto», ha dovuto spiegare lonorevole, che però, grazie allequivoco inventato da Davi, è pur sempre sulle prime pagine dei giornali. Stessa cosa era capitata a Fabio Granata, il finiano siculo, che frullato da Klaus Davi sul suo canale Youtube (Klauscondicio) se nera uscito con unaltra frase-bomba: «Schifani ha pisciato fuori dal vaso». Accipicchia, che scandalo, si dimetta, Fini spieghi, e via accumulando polvere su polverone. Bomba seguita dal solito disinnesco: «Mai detto». Finita lì. Anche Angela Napoli è passata da Davi, ma non ha potuto smentire la frase sulle donne del Pdl che lhanno data per farsi eleggere. Italo Bocchino invece aveva mezzo smentito, e dopo aver detto a Davi che sarebbe «meglio un premier gay che un premier leghista», arrivò con la consueta klaus-smentita: «Non ho mai detto meglio gay che leghisti, dico solo che non possiamo avere un premier leghista perché rappresenterebbe solo una parte del Paese».
Insomma, chi è che imbroglia qui? Tutti e nessuno. La genialità del metodo Davi è direttamente proporzionale alla stupidità degli automatismi informativi. Una volta acceso il meccanismo della «notizia» è impossibile arrestarlo, e la simil-verità, per quanto smentita, diventa una verità. Il massmediologo svizzero lha capito e sfrutta le falle e le debolezze del sistema per far parlare di sé e dei suoi «clientes» occasionali. Tratta i deputati come brand di cui far parlare la stampa, e ci riesce. Una scaltrezza che gli è costata pure qualche guaio. Il presidente di Assorel, cioè lassociazione di categoria dei comunicatori pubblici, lha recentemente denunciato ai probiviri per un trucchetto usato per rendere «notiziabile» i clienti della sua agenzia, la Klaus Davi & Co. Si era inventato, Davi, una testata americana, il Metropolitan Post, generosa di «scoop», come quello secondo cui George Clooney, stanco della Canalis, passerebbe il suo tempo a giocare a poker online. «Lo dice il Metropolitan post», scrissero - abboccando - siti e giornali italiani.
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